La norma in esame detta il principio secondo cui è necessario utilizzare la lingua italiana per fornire le informazioni al
consumatore, e questo risponde all’esigenza di fornire al medesimo informazioni chiare e comprensibili.
Viene anche disposto che qualora tali informazioni siano fornite in più lingue, deve comunque essere presente la lingua italiana, alla quale va data visibilità e leggibilità almeno pari alle altre lingue (è questo il caso delle istruzioni relative ad un apparecchio elettronico, le quali generalmente vengono presentate in più lingue).
Il terzo comma, invece, legittima l’uso di espressioni anche non in lingua italiana, purchè si tratti di espressioni divenute di uso comune; l’esempio classino che può farsi è quello del termine inglese “
computer”, il quale può essere usato senza la traduzione in italiano di “elaboratore elettronico”, termine che potrebbe perfino avere l’effetto di confondere il consumatore.
Una applicazione pratica di quanto disposto da questa norma si ritrova in giurisprudenza, ed in particolare va segnalata la sentenza della Cass. pen., Sez. III, sentenza n. 20253 del 21/02/2014, pronunciata in tema di immissione sul mercato di prodotti pericolosi, ed in particolare di commercializzazione delle cosiddette "minimotociclette".
La violazione dell'obbligo di apporre su tali prodotti le avvertenze in lingua italiana sull'uso e sui rischi specifici si è ritenuto perfino integrare il reato di cui all'art.
112, comma terzo, e non l'illecito amministrativo di cui all’art.
12, comma primo, del Codice del consumo, riguardante le ipotesi di prodotti non riportanti, in forme visibili e leggibili in lingua italiana, le informazioni di carattere generale dovute ai consumatori.