Dopo aver indicato i poteri di diritto sostanziale che spettano all'esecutore testamentario, il codice, nell’articolo in commento, enumera i poteri concernenti il diritto processuale.
Anche questo articolo segna una profonda innovazione rispetto al precedente codice del 1865 (perfettamente rispondente, in questa parte, all’art. 1031 del codice Napoleone). Il codice del 1865, infatti, limitava l’attività processuale dell’esecutore all'intervento in giudizio per sostenere la validità del testamento. È quindi evidente che, così circoscritta detta attività, non poteva ritenersi sufficiente in relazione all’ampliamento dei poteri di diritto sostanziale accordati all’esecutore ed all’autonomia che sta a base delle sue funzioni. L’articolo, però, nella formulazione definitiva che è passata nel codice, ha una portata più limitata. Nel progetto della Commissione reale, infatti, la norma era formulata nel senso che sarebbe spettato all’esecutore testamentario far valere in giudizio i diritti relativi alla sua gestione, durante la medesima, e che, contro di lui soltanto andavano proposte le azioni giudiziarie concernenti la stessa gestione. Nel capoverso si aggiungeva, poi, che egli potesse intervenire nei giudizi nei quali fosse impegnata la validità del testamento.
Nel progetto definitivo, la disposizione fu modificata e fu ancora ampliata: fu modificata disponendo che le azioni relative all’eredità si dovevano proporre sia contro l’erede, che contro l’esecutore testamentario; fu ampliata in quanto, oltre al diritto di intervenire nelle cause promosse dall’erede, si dava all’esecutore la facoltà di far valere in giudizio i diritti dell’erede medesimo. Quest’ultima parte fu soppressa nella definitiva revisione del progetto, e, nella relazione al Re Imperatore, la soppressione è stata giustificata sembrando esorbitante, rispetto alle funzioni normali dell’esecutore, attribuire a questo la legittimazione attiva per tutte le azioni inerenti all’eredità, e sembrando altresì che tale attribuzione potesse rappresentare un pericolo per gli eredi, costretti a subire le conseguenze dei giudizi intrapresi dall’esecutore.
Secondo la formulazione che è passata nel codice, dunque, l’attività processuale dell’esecutore è autorizzata nel senso: a) che egli può esercitare le azioni relative all’adempimento del suo ufficio; b) che ha facoltà di intervenire nei giudizi promossi dall’erede; c) che le azioni relative all’eredità, durante la gestione, devono essere proposte anche nei di lui confronti.
Circa il primo punto, la legittimazione processuale è conseguenza necessaria dei poteri concessi all’esecutore, giacché sarebbe stato illogico attribuire detti poteri, in via autonoma ed originaria, senza consentire, in pari tempo, la facoltà di agire. La facoltà è, però, limitata espressamente, come la norma stessa chiarisce, alle azioni inerenti l’adempimento dell'incarico. Ed in relazione a ciò è da ritenere che non possa funzionare il divieto di esercitare le azioni inerenti l’eredità; dal momento che è ben possibile, nella pratica, che tali azioni, appunto, debbano essere promosse proprio per l’attuazione delle disposizioni di ultima volontà affidate all’esecutore.
Circa il secondo punto, si tratta della facoltà di intervento in tutti i giudizi promossi dall’erede. Intervento che, data la larghezza della formula usata, si può esplicare in tutte le forme consentite dal diritto processuale.
Per quanto riguarda il terzo punto, con la norma si è creato un vero e proprio litisconsorzio necessario tra l’erede e l’esecutore, in quanto questo, come pure è detto nella relazione al Re Imperatore, è considerato come parte necessaria nel giudizio, con tutte le conseguenze processuali che ne derivano. Occorre, inoltre, notare che anche l’attività processuale dell’esecutore subisce modificazioni nel caso in cui il testatore abbia vietato l'amministrazione ed il possesso dei beni. In questa ipotesi non si applica la disposizione riguardante la partecipazione necessaria dell’esecutore ai giudizi che siano promossi contro l’eredità, perché tale partecipazione presuppone la gestione dell’esecutore, che non esiste senza il possesso e l’amministrazione della massa ereditaria.
Si applicano, invece, le altre due disposizioni riguardanti l’intervento in causa e l’esercizio diretto delle azioni. La prima, dato che l’intervento può essere giustificato dalla vigilanza sull’esecuzione, che spetta sempre all’esecutore anche se non amministratore; la seconda, perché, anche in quest’ipotesi, è possibile che debba agire per attuare le disposizioni del testatore a lui affidate. Qualora, poi, l’esecutore testamentario cessi al suo ufficio quando siano ancora in corso le azioni da lui intraprese, nella legittimazione processuale subentra l’erede.
La legge non precisa contro chi possono essere dirette le azioni dell’esecutore testamentario. È certo, tuttavia, che esse possano proporsi non soltanto contro i terzi estranei all’eredità, ma altresì contro gli eredi ed i legatari, quando ciò sia necessario per porre l’esecutore in grado di adempiere il suo ufficio.
Qualche dubbio può sorgere, peraltro, in relazione a quanto si legge nella relazione al Re Imperatore, per il caso in cui l’esecutore testamentario, che sia anche erede, si trovi in conflitto con gli altri eredi. Nella relazione è detto che, in questa ipotesi, discostandosi dalle proposte della Commissione delle Assemblee legislative, non si è creduto di negare espressamente la rappresentanza processuale dell’esecutore, perché è sembrato ovvio, senza bisogno di una norma in proposito che l’esistenza di un conflitto di interessi paralizzi l’esercizio dei poteri attribuiti all’esecutore, quando questi devono essere esercitati anche nell’interesse degli altri eredi. Senonché, la proposta della Commissione delle Assemblee legislative era nel senso di aggiungere la frase “salvo che vi sia contrasto d’interesse” nell’ultima parte dell’art. 242 del progetto definitivo del Guardasigilli, articolo che accordava, tra l'altro, la facoltà all’esecutore di far valere in giudizio i diritti dell’erede; in relazione a tale disposizione, la salvezza trovava piena giustificazione per evitare pregiudizi agli eredi. Ma, essendosi soppressa la facoltà anzidetta, ed essendosi limitato l’esercizio delle azioni a quelle relative all’adempimento dell'incarico, la riserva che si legge nella relazione al Re Imperatore risulta poco chiara nella sua portata pratica. Infatti, l’esecutore testamentario, sia o no erede, se accetta l’incarico deve eseguire il testamento; e, per eseguirlo, può trovarsi nella necessità di agire giudizialmente sia contro i terzi che contro gli eredi o alcuni di essi. Ora, sembra arduo, ed in contrasto col sistema, ritenere che, in tali circostanze, una situazione di conflitto d’interesse tra l’esecutore-erede e gli altri eredi possa paralizzare l’azione dell’esecutore medesimo.