Quanto agli effetti del diritto di accrescimento, l’art. 676 risolve espressamente la questione che, sotto la vigenza della legislazione precedente, la dottrina risolveva traendo appiglio dalle diverse disposizioni positive, e specialmente dalle espressioni adoperate dagli articoli #879#, #883#, #885# e #887# del codice del 1865. L’acquisto per accrescimento, dunque, ha luogo di diritto, senza che il beneficiario si dia pensiero di compiere un qualsiasi atto; anzi, anche a sua insaputa e senza o contro la sua volontà.
Quelli che subentrano al posto del coerede o collegatario mancante ne acquistano i diritti, ma anche gli obblighi e gli oneri: l’art. 676, comma 2 risolve espressamente un’altra questione, dibattuta sotto la vigenza del codice del 1865, stabilendo che solo gli obblighi di carattere personale non trapassano.
Rimane insoluta la questione relativa alle sorti del diritto di accrescimento in caso di cessione, a qualsiasi titolo, per atto tra vivi, della quota ereditaria. Parrebbe che essa debba risolversi in base all’art. 676, comma 1. Se, infatti, l’acquisto per accrescimento ha luogo di diritto, esso è conseguenza indeclinabile dell’acquisto della quota ereditaria: dunque, si verifica a favore dell’erede istituito indipendentemente dalla sua volontà e dalla sua attività. Ma se costui può trasferire per atto tra vivi la quota ereditaria, ne deriva: a) che può venire a mancare, rispetto a lui, la condizione dell’acquisto per accrescimento; b) che tale condizione può sussistere rispetto all’acquirente della quota. Ne consegue ancora che quest'ultimo sarà legittimato all’acquisto per accrescimento.
Si capisce, però, che le parti possono diversamente regolare i loro rapporti, e quindi limitare la cessione al diritto ereditario esistente al momento della cessione, escludendo il diritto all’accrescimento.