L'obbligato agli alimenti deve intendersi tenuto "
de effectu" e non semplicemente "
de actu", per cui l'obbligazione dovrebbe dirsi adempiuta soltanto se sia stato
effettivamente soddisfatto il bisogno. A tale regola pare opporsi la disposizione dell'attuale art. 444, secondo cui il debitore non può essere costretto a rinnovare la prestazione, anche se l'alimentando per un qualsiasi motivo non se ne sia giovato. Tale norma, secondo la Relazione della Commissione reale, è diretta "a combattere il mal costume, l'impreviggenza, la leggerezza dell'alimentando".
La Commissione parlamentare, peraltro, "rilevando che l'obbligo alimentare riveste carattere di interesse pubblico e non può essere considerato alla stregua di qualsiasi altra obbligazione, ritenne che l'assegno potrebbe essere di nuovo concesso in casi di forza maggiore, quando la prestazione non conseguì cioè il suo effetto per causa in cui non entri la colpa del debitore".
II Guardasigilli, invece, in definitiva, si preoccupò di non rendere "troppo gravosa la condizione dell'alimentante, il quale non sarebbe stato mai sicuro di aver pagato con pieno effetto liberatorio".
In definitiva, l'art. 444 conserva un significato ben preciso connesso con la massima
nemo alitur in praeteritum. Per il passato quel che è stato è stato. Ciò che conta è che l'obbligazione rimanga pur sempre desta col perdurare del bisogno, che, attualmente e per il futuro, finché sussiste richiede soddisfazione.
Ed è anche vero che, al fine di tale soddisfazione, non basta che il debitore presti una qualsiasi somma o una qualsiasi inqualificata attività, ma occorre che si adoperi affinché si raggiungano volta per volta gli scopi che presiedono all'istituto alimentare.
Solo in quanto si abbia riguardo alle enunciate caratteristiche essenziali del rapporto alimentare, si spiega e si giustifica il largo intervento ricognitivo e talora deliberativo dell'autorità giudiziaria.