L'azione per impugnare il matrimonio non si trasmette agli eredi se non quando il giudizio è già pendente alla morte dell'attore(1).
L'azione per impugnare il matrimonio non si trasmette agli eredi se non quando il giudizio è già pendente alla morte dell'attore(1).
(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)
Cass. civ. n. 17909/2022
In tema di procedimento per la dichiarazione di simulazione del matrimonio, ove nel corso del giudizio deceda la parte convenuta, i suoi eredi possono costituirsi nel giudizio, atteso che così come l'art. 127 c.c. autorizza gli eredi della parte che abbia impugnato il matrimonio a proseguire l'azione già esperita dal "de cuius", per identica "ratio" deve intendersi autorizzato l'erede del "de cuius" convenuto nel giudizio di simulazione a resistere all'azione proposta contro di lui prima della sua morte.Cass. civ. n. 33409/2021
In tema di matrimonio putativo, la buona fede dei nubendi al momento della celebrazione del matrimonio si presume, in applicazione dei principi generali sanciti dall'art. 1147 c.c. L'onere della prova grava pertanto su colui che allega la mala fede e ha interesse a dimostrarne l'esistenza, restando comunque ogni valutazione al riguardo - anche in ordine alla ricorrenza di una condizione di ignoranza dipendente da colpa grave - riservata al giudice di merito.Cass. civ. n. 22599/2020
Le azioni di nullità non si trasmettono agli eredi se non quando l'evento morte intervenga in corso di giudizio avente ad oggetto l'accertamento della nullità. (Nel caso di specie, il giudizio di riconoscimento della dichiarazione di nullità pronunciata dal giudice canonico costituisce lo strumento per rendere operativa nel nostro ordinamento la predetta statuizione oggetto di diverso giudizio). Peraltro la sopravvenienza nel corso del giudizio della morte di uno dei coniugi non configura un atto interruttivo, né determina la cessazione della materia del contendere ma consente la prosecuzione del procedimento salva l'esigenza (garantita nella specie con l'atto d'intervento) di avvertire gli eventuali eredi per assicurare il contraddittorio ed il diritto di difesa.Cass. civ. n. 4653/2018
In tema di impugnative matrimoniali, l'azione per impugnare il matrimonio affetto da vizi della volontà ovvero da incapacità di intendere e di volere di uno dei coniugi ha carattere personale ed è trasmissibile agli eredi solo qualora il relativo giudizio sia già pendente al momento della morte di detto coniuge, il quale è titolare esclusivo del potere di decidere se impugnare il proprio matrimonio; l'azione di nullità, inoltre, pur essendo promuovibile dal pubblico ministero, ex art. 125 c.c., non può più essere esperita dopo la morte di uno dei coniugi.Cass. civ. n. 14794/2014
L'art. 428 cod. civ., che disciplina il regime di impugnazione degli atti negoziali compiuti da persona incapace di intendere e di volere, non si applica in ambito matrimoniale, il cui regime delle invalidità è disciplinato da norme speciali, le quali, nel bilanciamento tra il diritto personalissimo del soggetto di autodeterminarsi in ordine al matrimonio e l'interesse degli eredi a far valere l'incapacità del "de cuius" allo scopo di ottenere l'annullamento del suo matrimonio, assegnano preminenza, in modo non irragionevole, all'esigenza di tutela del primo e, quindi, della dignità di colui che, non interdetto, ha contratto matrimonio. Ne consegue la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 120 e 127 cod. civ., con riferimento all'art. 3 Cost., laddove esclude la legittimazione piena ed autonoma degli eredi ad impugnare direttamente il matrimonio contratto dal loro congiunto in stato di incapacità di intendere e di volere.Cass. civ. n. 22514/2004
Gli eredi del coniuge deceduto non sono legittimati a proporre la domanda di delibazione della sentenza ecclesiastica che ha dichiarato la nullità del matrimonio religioso, ai sensi dell'art. 8 dell'Accordo firmato in Roma il 18.2.1984, che ha modificato il Concordato lateranense dell'11.2.1929, tra la Repubblica Italiana e la Santa Sede, ratificato e reso esecutivo con la legge n. 121 del 1985, in quanto, diversamente da quanto stabilito dalla previgente disciplina, il procedimento non ha natura officiosa e la titolarità del potere di chiedere la delibazione della pronuncia ecclesiastica spetta esclusivamente a coloro i quali, secondo l'ordinamento italiano, sono legittimati a promuovere l'azione di impugnazione del matrimonio prevista dal cod. civ., non rilevando, in contrario, che nell'ordinamento ecclesiastico gli eredi del coniuge deceduto siano invece legittimati ad instaurare il giudizio di nullità del matrimonio religioso, in quanto questa legittimazione non può fondare la legittimazione alla proposizione della domanda di delibazione.
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