La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 26336 del 7 febbraio 2017, si è occupata proprio di un caso di questo tipo, fornendo alcune interessanti precisazioni in ordine al reato di “molestia e disturbo alle persone”, di cui all’art. 660 c.p.
Nel caso esaminato dalla Cassazione, il Tribunale di Potenza aveva condannato un imputato per il reato di “molestia o disturbo alle persone”, di cui all’art. 660 cod. pen., in quanto il medesimo aveva suonato insistentemente al campanello di un altro soggetto e aveva, altresì, rotto alcuni suoi vasi da fiori.
Ritenendo la decisione ingiusta, l’imputato aveva deciso di rivolgersi alla Corte di Cassazione, nella speranza di ottenere l’annullamento della sentenza sfavorevole.
Secondo il ricorrente, in particolare, il Tribunale non aveva adeguatamente motivato la propria decisione di condanna e non aveva valutato gli elementi costitutivi del reato in questione, dal momento che il luogo in cui era avvenuto l’episodio oggetto di contestazione non era un “luogo pubblico” e la condotta non aveva assunto i caratteri della “petulanza” e del “biasimevole motivo”, richiesti dalla norma incriminatrice.
La Corte di Cassazione, tuttavia, non riteneva di poter dar ragione all’imputato, rigettando il relativo ricorso, in quanto infondato.
Osservava la Cassazione, infatti, che il Tribunale aveva adeguatamente motivato la propria decisione, esaminando attentamente la credibilità e l’attendibilità delle dichiarazioni rese dai testimoni sentiti in corso di causa e dalla persona offesa.
Quanto alla “pubblicità” del luogo in cui era avvenuto l’episodio oggetto di causa, la Cassazione osservava che fra le molestie oggetto di contestazione vi era quella relativa all'uso insistente del campanello del portoncino di casa della persona offesa e che la rottura dei vasi da fiori si era verificata nella parte esterna dell’abitazione della persona offesa, essendo stato provato che la stessa non aveva aperto la porta di casa al molestatore.
Sul punto, la Cassazione evidenziava che, ai fini della configurabilità del reato di molestie, per “luogo aperto al pubblico” si intende ogni luogo a cui ciascuno può accedere in determinati momenti, con la conseguenza che devono considerarsi aperti al pubblici anche l’androne di un palazzo o la scala comune a più abitazioni.
Pertanto, anche il luogo in cui era stata posta in essere la condotta contestata doveva considerarsi “aperto al pubblico”.
Precisava la Cassazione, inoltre, che il Tribunale aveva esaminato attentamente anche la condotta tenuta dall’imputato, che si era configurata come “oggettivamente idonea ad arrecare molestia e disturbo alla persona offesa”, in quanto la stessa era stata posta in una condizione di disagio, vedendo alterate le proprie normali condizioni di tranquillità.
In conclusione, dunque, la Cassazione riteneva che la condotta in questione fosse stata oggettivamente caratterizzata da “petulanza”, vale a dire, “da un modo di agire pressante, insistente, indiscreto, in sostanza univocamente molesto, tale da interferire in modo sgradevole nella sfera della quiete e della libertà delle persone”.
Ciò considerato, la Corte di Cassazione rigettava il ricorso proposto dall’imputato, confermando integralmente la sentenza emessa dal Tribunale e condannando il ricorrente anche al pagamento delle spese processuali.