In questo caso, come viene ripartita la responsabilità per il sinistro? In particolare, se uno dei due conducenti coinvolti non aveva acceso i fari del proprio mezzo, la responsabilità del sinistro deve ricondursi ugualmente all’altro conducente?
Nel caso esaminato dalla Corte, un auto, mentre svoltava a destra, impattava contro una moto che non aveva i fari accesi, pur essendo notte.
L’incidente comportava la caduta del motociclista, che perdeva la vita a seguito dell’impatto.
Prendeva avvio, quindi, un procedimento penale a carico del conducente dell’autovettura, che veniva imputato di omicidio colposo, ai sensi dell’art. 589 codice penale (il quale punisce con la pena della reclusione da 6 mesi a 5 anni “chiunque cagiona per colpa la morte di una persona”).
Il procedimento si concludeva con la condanna del medesimo per tale reato.
Il conducente, tuttavia, ritenuta la sentenza ingiusta, proponeva in ultima ricorso per Cassazione, evidenziando come la responsabilità del sinistro e dell’evento dannoso fosse da ricondursi al comportamento del motociclista, che viaggiava a forte velocità, oltre che con i fari spenti.
La Corte di Cassazione, riteneva di aderire alle argomentazioni svolte dal conducente, escludendo la sua responsabilità per la morte del motociclista.
In particolare, secondo la Corte, il conducente dell’autovettura non poteva dirsi responsabile, dal momento che la causa del sinistro doveva, effettivamente ricondursi al comportamento poco prudente del motociclista, il quale, aveva omesso di accendere i fari (come confermato, in sede di istruttoria testimoniale, dalla deposizione di un soggetto che si trovava sul luogo dell’incidente al momento dell’impatto), nonostante l’orario notturno.
Pertanto, secondo la Corte, per il conducente dell’auto era risultato impossibile vederlo transitare ed evitare l’impatto mortale.
In sostanza, secondo la Corte, l’incidente non poteva dirsi causato dalla condotta del conducente l’autovettura, essendosi verificato a causa di un evento non previsto e non prevedibile con l’ordinaria diligenza, da parte del conducente, il quale non poteva certo immaginare che, svoltando, sarebbe incorso in una moto a fari spenti. Non sussisteva, quindi, il presupposto della “colpa”, richiesto dall’art. 589 ai fini della condanna per il reato di “omicidio colposo”.
Di conseguenza, la Cassazione riteneva che il conducente dell’autovettura fosse stato ingiustamente condannato nei precedenti gradi di giudizio e, pertanto, accoglieva il ricorso dal medesimo presentato, annullando la sentenza di condanna emanata nei suoi confronti.