La Corte di Cassazione, con la sentenza del 13 settembre 2022, n. 2511 (depositata in data 20 gennaio 2023), è tornata a pronunciarsi sul tema della scriminante dell'adempimento del dovere (art. 51 del c.p.) in caso di soccorso in mare, escludendone l'ambito di applicazione in caso di mera attività di recupero in mare del naufrago, senza successivo primario soccorso post salvataggio, consistente nel garantire al naufrago un approdo in posto sicuro ("piace of safety").
In particolare, le fonti del diritto internazionale, sia consuetudinarie che pattizie, impongono la necessità di garantire al naufrago rinvenuto in mare completa assistenza, consistente non solo nell'immediato salvataggio (qualora questo risulti disperso), bensì anche nella successivo trasporto in luogo sicuro, affinchè gli sia prestata completa assistenza, anche sanitaria e burocratica. Secondo i diritto internazionale, difatti, non è sufficiente la mera attività di recupero in mare da parte dei capitani delle navi di passaggio, bensì è necessario anche che questi si attivino affinchè i naufraghi recuperati siano portati in luoghi sicuri, e possano ricevere l'assistenza umanitaria di cui necessitano. A vigilare sull'attività di recupero e salvataggio è anche la polizia marittima, la quale, controllando le coste nazionali, deve assicurarsi che non vi sia nessun disperso che abbia bisogno di aiuto: in quel caso, è immediato l'obbligo di avvisare la capitaneria locale, affinché il naufrago sia recuperato.
I principi in esame sono espressamente ribaditi nelle principali convenzioni internazionali in materia di tutela del mare, in particolare: la Convenzione per la salvaguardia della vita umana in mare ("SOLAS-Safety of Life at Sea"), redatta a Londra nel 1974, e poi successivamente ratificata in Italia con la legge n. 313 del 1980; la Convenzione UNCLOS delle Nazioni Unite sul diritto del mare, stipulata a Montego Bay nel 1982, e ex post recepita dall'Italia attraverso la legge n. 689 del 1994; la Convenzione SAR di Amburgo del 1979, successivamente poi eseguita dall'ordinamento giuridico italiano con la legge n. 147 del 1989, ovvero poi attuata con il D.P.R. n. 662 del 1994, la quale, al punto 3.1.9, dispone che: "Le Parti devono assicurare il coordinamento e la cooperazione necessari affinché i capitani delle navi che prestano assistenza imbarcando persone in pericolo in mare siano dispensati dai loro obblighi e si discostino il meno possibile dalla rotta prevista, senza che il fatto di dispensarli da tali obblighi comprometta ulteriormente la salvaguardia della vita umana in mare. La Parte responsabile della zona di ricerca e salvataggio in cui viene prestata assistenza si assume in primo luogo la responsabilità di vigilare affinché siano assicurati il coordinamento e la cooperazione suddetti, affinché i sopravvissuti cui è stato prestato soccorso vengano sbarcati dalla nave che li ha raccolti e condotti in luogo sicuro, tenuto conto della situazione particolare e delle direttive elaborate dall'Organizzazione (Marittima Internazionale). In questi casi, le Parti interessate devono adottare le disposizioni necessarie affinché lo sbarco in questione abbia luogo nel più breve tempo ragionevolmente possibile".
I principi generali in esame sono rinvenibili anche all'interno del diritto internazionale di fonte consuetudinaria, il quale entra, in qualità di fonte sovraordinata, all'interno dell'ordinamento giuridico italiano attraverso l'articolo 10 della Carta Costituzionale: tra i principi fondamentali riconosciuti, quale tutela minima dei diritti umani, vi rientra anche l'obbligo di ciascuno Stato di soccorrere i naufraghi in mare, a prescindere dalla loro cittadinanza (anche gli apolidi meritano di essere soccorsi in mare).
In particolare, recependo le fonti di diritto internazionale, le Linee Guida del Ministero dell'Interno hanno precisato che "un luogo sicuro è una località dove le operazioni di soccorso si considerano concluse; dove la sicurezza dei sopravvissuti o la loro vita non è più minacciata; le necessità umane primarie (come cibo, alloggio e cure mediche) possono essere soddisfatte; e può essere organizzato il trasporto dei sopravvissuti nella destinazione vicina o finale. Sebbene una nave che presta assistenza possa costituire temporaneamente un luogo sicuro, essa dovrebbe essere sollevata da tale responsabilità non appena possano essere intraprese soluzioni alternative".
Anche l'ordinamento giuridico italiano riconosce il diritto di ciascuno di essere soccorso in mare in caso di pericolo: in particolare, è nel dovere di ciascun soggetto navigante garantire assistenza in caso di necessità, ovvero prestare primario soccorso ai soggetti che si trovano in estrema difficoltà. In generale, l'ordinamento nostrano scrimina ogni condotta illecita attuata al fine di recuperare soggetti in mare in stato di pericolo attraverso la causa di giustificazione di cui all'articolo 51 del codice penale: dunque, qualora sia necessario porre in essere fatti illeciti al fine di soccorrere un naufrago (si pensi, ad esempio, ai delitti di cui agli art. 336 del c.p. e art. 337 del c.p.), il comportamento dei soccorritori è scriminato, e pertanto non punito.
In tal guisa, l'ordinamento giuridico italiano opera un bilanciamento di interessi, favorendo il recupero dei soggetti in mare in luogo della punibilità dei soggetti soccorritori. Garantire l'aiuto umanitario minimo è, difatti, esigenza considerata prevalente rispetto alla necessità di applicare la sanzione penale. L'ordinamento giuridico, attraverso la causa di giustificazione in esame, rinuncia a garantire tutela penale al fatto illecito perfezionatosi, al fine di tutelare la sfera dei diritti umanitari.
Secondo la teoria generale in materia penale, le cause di giustificazione rendono un fatto penalmente rilevante lecito in ogni branca dell'ordinamento giuridico: le scriminanti, difatti, a differenza delle scusanti (mera esclusione della colpevolezza), nonchè delle cause di non punibilità in senso stretto (esclusione della sola punibilità), danno al fatto penalmente illecito una veste di liceità, trasformando quest'ultimo in attività non punibile penalmente.
Al fine di riconoscere una scriminante, dunque, l'ordinamento giuridico deve dapprima valutare il valore giuridico extrapenale meritevole di tutela, ovvero circoscrivere l'ambito di operatività della causa di giustificazione in presenza di requisiti stringenti.
In materia di soccorso in mare, la giurisprudenza della Corte di Cassazione, sulla scia delle fonti di diritto internazionale, ha più volte statuito che la causa di giustificazione di cui all'art. 51 c.p. è riconoscibile nei casi in cui il soccorritore non solo si limiti a prestare il previo ausilio in mare al naufrago disperso, bensì si assicuri anche il suo successivo approdo in luogo sicuro, affinchè ricevi ogni forma assistenziale di stampo umanitario.
I principi in esame sono stati riaffermati dal Supremo Consesso nella celebre sentenza n. 6626 del 16 gennaio 2020 (famoso caso "Rackete"), ove, nel merito, la Corte di Cassazione riconosceva la scriminante di cui all'articolo 51 c.p., non punendo penalmente la condotta di resistenza a pubblico ufficiale (ex art. 336 c.p.) attuata dal capitano della nave al fine di porre in salvo naufraghi dispersi: ciò in quanto il soggetto agente non solo si prestava ad offrire ai naufraghi soccorsi previo sostegno materiale, permettendo agli stessi di salire sulla nave, bensì in quanto aiutava gli stessi trasportandoli sul territorio italiano, luogo sicuro ove poter ricevere assistenza.
Alla luce delle coordinate tracciate, la Corte di Cassazione, all'interno della sentenza in esame, ha escluso la causa di giustificazione di cui all'art. 51 c.p. in caso di mera attività di mero soccorso e recupero in mare, senza che a questa faccia seguito un concreto trasporto in posto sicuro del naufrago disperso. Nel caso di specie, difatti, il comandante della nave aveva prestato soccorso ad altra nave, in balia di eventi metereologici avversi, senza tuttavia aiutare la stessa ad attraccare in posto sicuro: suddetta condotta, difatti, è stata considerata irrispettosa, da parte del giudice, dei diritti fondamentali di stampo umanitario, nonchè violativa delle Convenzioni di diritto internazionale in materia. L'attività di soccorso, difatti, secondo la pronunzia in esame, non può limitarsi al mero salvataggio dei naufraghi sulla nave, dovendo essi essere portati anche in luogo terrestre sicuro, al fine di poter richiedere e ricevere protezione internazionale (Convenzione di Ginevra del 1951).
L'attività di soccorso in mare dei naufraghi scrimina non solo qualora questi siano sottratti dal pericolo imminente di perdersi in mare ma anche nel caso in cui siano portati in luogo sicuro.