La vicenda concerneva un giudizio di cessazione degli effetti civili di un matrimonio concordatario, nell'ambito del quale il giudice affidava al padre i due figli minori, disponendo a carico della madre l'onere di contribuzione al mantenimento della prole nella misura di Euro 200 mensili ed imponendo, altresì, all'ex marito il versamento di un assegno divorzile in favore dell'ex coniuge.
La sentenza di primo grado veniva impugnata dall'ex marito e, accogliendo le ragioni di quest'ultimo, la Corte d'appello territorialmente competente revocava l'assegno divorzile per le seguenti ragioni:
- a fronte di uno stipendio netto annuo di Euro 37.000 di cui godeva l'ex marito, l'ex moglie - la quale risultava percettrice di un reddito annuo di Euro 10.000 derivante dall'attività di commessa di supermercato - decideva di trasferirsi presso l'abitazione dei propri genitori e, conseguentemente, rimaneva priva di occupazione;
- peraltro, considerata la giovane età e la piena capacità lavorativa della donna, a nulla rilevava l'eventuale stato di bisogno di quest'ultima, poichè le presunte difficoltà economiche traevano origine proprio dalla volontà della medesima, che ben avrebbe potuto continuare a lavorare cercando, al tempo stesso, una diversa attività lavorativa maggiormente remunerativa.
Giunta la vicenda in Cassazione, i Giudici di Piazza Cavour respingevano il ricorso, sulla base del seguente corredo motivazionale.
Preliminarmente, pur essendo ormai pacifica la triplice funzione assistenziale, compensativa e perequativa dell'assegno divorzile, così come affermata dalle S.U. del 2018 con la nota sentenza del 18287/2018 e confermata dalla giurisprudenza successiva, il giudice non può prescindere dall'accertamento dell'inadeguatezza dei mezzi dell'ex coniuge richiedente nonché dell'impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive.
In tal senso, la Corte d'appello aveva rilevato come le lamentate difficoltà economiche della donna, laddove esistenti, avrebbero tratto origine esclusivamente dalla decisione della stessa di abbandonare un'attività lavorativa che, sino a quel momento, le aveva garantito una sicura fonte di reddito mensile.
Pertanto, l'invocata difficoltà di procurarsi mezzi adeguati di cui all'art. 5 della L. n. 898/1970, essendo imputabile unicamente alla volontà della donna di cessare l'attività lavorativa, e non ad un'impossibilità oggettiva o a fattori esterni, non può in alcun modo legittimare la richiesta dell'assegno divorzile.
Ad adiuvandum, gli ermellini, con la precitata ordinanza n. 26594/2019, hanno chiarito che, relativamente alla funzione equilibratrice dei redditi degli ex coniugi, l'assegno divorzile non è volto alla ricostituzione del tenore di vita goduto durante il matrimonio, bensì al riconoscimento dell'effettivo ruolo ricoperto dall'ex coniuge economicamente debole alla formazione del patrimonio familiare e di quello personale di ciascuno dei coniugi, anche in considerazione delle aspettativi professionali sacrificate per dedicarsi alla cura della famiglia.
Applicando il principio dinanzi al caso in esame, la Cassazione non ha omesso di rilevare come, alla luce degli scritti difensivi e delle risultanze istruttorie, le pretese economiche dell'ex moglie risultavano del tutto destituite di fondamento giuridico anche in chiave meramente compensativa, atteso che la donna, in costanza di matrimonio, non aveva significativamente contribuito alla formazione del patrimonio familiare nè alla cura della famiglia e, pertanto, non poteva lamentare alcun pregiudizio di natura professionale riconducibile al proprio ruolo endofamiliare.