Nel caso esaminato dalla Corte, un condomino, deducendo di aver subito un’aggressione da parte del soggetto che rivestiva le funzioni di custode dello stabile condominiale, aveva agito in giudizio nei confronti dell’aggressore e del condominio, ai sensi dell’art. 2049 codice civile (responsabilità dei padroni e dei committenti), al fine di ottenere il risarcimento dei danni subiti.
Il Tribunale, in primo grado, accoglieva la domanda proposta nei confronti del solo aggressore e limitatamente ad alcune modeste lesioni, che il Giudice aveva ritenuto “direttamente legate da nesso causale con il violento colpo al viso sferrato dal convenuto”.
Escludeva, invece, la responsabilità del condominio.
Tale sentenza veniva appellata dal danneggiato e la Corte d’Appello che accoglieva il ricorso, riconoscendo “tanto il nesso causale tra l'invalidità permanente totale residuata per la perdita del visus ad un occhio, sebbene già in condizioni non ottimali, quanto quello di occasionalità necessaria” tra la condotta dell’aggressore e le mansioni di portiere.
Pertanto, sia l’aggressore che il condominio venivano condannati al risarcimento dei danni subiti dal danneggiato, comprensivo del “danno patrimoniale differenziale dovuto al fatto che comunque l'evento dannoso contribuì ad aggravare la situazione e ad accelerare il calo del visus dell'occhio destro e a rendere non autonomo il danneggiato, che aveva già compromesso il visus dell'occhio sinistro”.
Il condominio, dunque, riteneva di proporre ricorso per Cassazione negando che “vi fosse un collegamento tra l'esercizio delle funzioni o mansioni di portiere e l'aggressione”.
Secondo il condominio, in particolare, non sussistevano gli estremi per l’applicazione dell’art. 2049 codice civile, il quale “richiama la necessità ora di uno svolgimento della condotta dannosa pur sempre sotto il controllo del delegante, ora della concreta agevolazione di tale condotta in dipendenza delle mansioni svolte o consentite nell'organizzazione del datore di lavoro”.
Ebbene, secondo la Cassazione, nel caso di specie, l’elemento determinante, e sul quale ragionare, era rappresentato dal fatto che il portiere aveva aggredito il condomino “nell'appartamento dove quest'ultimo viveva e dove si era recato per verificare il funzionamento di tubature e quindi nell'espletamento di mansioni generalmente riconducibile a quelle di un portiere - o assimilato di un edificio condominiale”.
Infatti, costituisce una nozione di comune esperienza che il portiere, di solito, è chiamato “ad un primo sopralluogo nell'immediatezza della segnalazione di guasti ad impianti che potrebbero coinvolgere strutture condominiali, ovviamente e beninteso con l'obbligo di immediato coinvolgimento dell'amministratore - o di chi per lui competente per legge o per regolamento condominiale - per l'attivazione di ogni opportuno intervento sulle medesime, specie se urgente o se relativo a potenziali pericoli per l'incolumità o la fruibilità quotidiana dell'immobile in proprietà esclusiva (come nella specie, trattandosi di tubature idriche)”.
Tuttavia, secondo la Cassazione, la fattispecie non rientrava nell’ambito di applicabilità dell’art. 2049 codice civile, in considerazione del “carattere esclusivamente personale dello scopo perseguito dal danneggiante - nel senso che si va a spiegare - reciso ogni collegamento con la sfera giuridica patrimoniale del padrone o committente”.
Spiega la Cassazione che ai fini dell'applicabilità dell'art. 2049 cod. civ., non è necessario accertare un “nesso di causalità tra l'opera del preposto e l'obbligo del preponente” o un “rapporto di subordinazione tra l'autore dell'illecito ed il preponente medesimo”, essendo sufficiente che sussista “un rapporto di occasionalità necessaria, nel senso che l'incombenza disimpegnata abbia determinato una situazione tale da agevolare o rendere possibile il fatto illecito e l'evento dannoso, anche se il dipendente (o, comunque il collaboratore dell'imprenditore) abbia operato oltre i limiti delle sue incombenze, purchè sempre nell'ambito dell'incarico affidatogli, così da non configurare una condotta del tutto estranea al rapporto di lavoro”.
Di conseguenza, “impedisce la configurabilità della responsabilità in esame l'assoluta estraneità della condotta del preposto alle sue mansioni e compiti (…), quand’anche deviate o distorte”, in quanto è necessario che almeno sia possibile “ricollegare, anche solo indirettamente, la condotta dannosa del preposto alle attribuzioni proprie dell'agente o all'ambito dell'incarico affidatogli”.
In altri termini, occorre “che il preposto abbia perseguito finalità coerenti con quelle in vista delle quali le mansioni gli furono affidate e non finalità proprie alle quali il committente non sia neppure mediatamente interessato o compartecipe”.
Nel caso di specie, invece, doveva osservarsi che “sferrare un pugno ad un condomino o ad un inquilino dell'edificio condominiale causandogli lesioni personali gravissime, non attenuate ed anzi aggravate dalla pregressa situazione di evidente infermità della vittima - non rientra certamente nelle mansioni o funzioni del portiere, nè corrisponde al normale sviluppo di sequenze di eventi connessi all'ordinario espletamento di queste ultime”.
Pertanto, secondo la Corte, l’art. 2049 codice civile era stato falsamente applicato, in quanto “la responsabilità del preponente ai sensi dell'art. 2049 c.c., sorge per il solo fatto che il comportamento illecito del preposto sia stato agevolato o reso possibile dalle incombenze a lui demandate dal preponente, purchè però il primo non abbia agito per finalità o scopi esclusivamente personali e del tutto avulsi dalle incombenze o da quelle che è legittimo attendersi da lui e così al di fuori dell'ambito dell'incarico affidatogli, venendo meno in tal caso il nesso di occasionalità necessaria tra le prime ed il fatto illecito del preposto ed il danno”.
Alla luce di tali considerazioni, il ricorso proposto dal condominio, annullando la sentenza resa nel secondo grado di giudizio.