Nel caso esaminato dalla Cassazione, la Corte d’appello di Bologna aveva confermato la sentenza del Tribunale della stessa città, con la quale un medico era stato condannato per “lesioni colpose gravi ” commesse in danno di una paziente.
Nello specifico, l’imputato era stato ritenuto colpevole di aver cagionato alla vittima, a seguito di un intervento chirurgico di lifting facciale, “una diminuzione della sensibilità della zona interessata”.
Secondo la Corte d’appello, in particolare, la condotta dell’imputato doveva ritenersi “colposa”, in ragione della imperizia” del medico nell’esecuzione dell’intervento stesso.
Ritenendo la decisione ingiusta, l’imputato aveva deciso di rivolgersi alla Corte di Cassazione, nella speranza di ottenere l’annullamento della sentenza sfavorevole.
Evidenziava il ricorrente, in proposito, che, nel corso del giudizio, non era stata svolta nessuna consulenza tecnica e che, dunque, non era stato chiarito quale sarebbe stata la condotta che il medico avrebbe dovuto seguire.
Di conseguenza, secondo il ricorrente, la verificazione dell’evento dannoso sarebbe stata “fatta discendere automaticamente” dalla responsabilità del medico, senza, tuttavia, “identificare adeguatamente la condotta colposa e senza prendere in considerazione le valutazioni dei consulenti della difesa”.
La Corte di Cassazione riteneva, in effetti, di dover dar ragione al medico, accogliendo il relativo ricorso, in quanto fondato.
Osservava la Cassazione, infatti, che, nel caso di specie, la colpa del medico era stata individuata nella imperizia dello stesso nell’esecuzione dell’intervento e non nella scelta dello stesso.
Ebbene, in proposito, la Cassazione evidenziava che l’art. 590 sexies c.p., introdotto con l’art. 6 della legge 8 marzo 2017, n. 24, stabilisce che, qualora le lesioni si siano verificate a causa di imperizia del medico, “la punibilità è esclusa quando sono rispettate le raccomandazioni previste dalle linee guida come definite e pubblicate ai sensi di legge ovvero, in mancanza di queste, le buone pratiche clinico assistenziali”.
Nel caso in questione, dunque - poiché i giudici dei precedenti gradi di giudizio, pur avendo riscontrato la grave imperizia dell’imputato, non avevano svolto alcuna considerazione circa il “rispetto o meno da parte del sanitario delle linee guida o delle buone pratiche” – la Corte di Cassazione riteneva che dovesse essere verificata l’applicabilità della suddetta causa di non punibilità.
Alla luce di tali considerazioni, la Corte di Cassazione accoglieva il ricorso proposto dal medico, annullando la sentenza impugnata senza rinvio, in quanto, nel caso di specie, il reato risultava, tra l’altro, prescritto per prescrizione.