Nel caso in esame, una casa di cura ed un’Azienda Sanitaria Provinciale avevano stipulato nel 2006 “un accordo per il pagamento delle prestazioni sanitarie da parte della struttura pubblica”.
Nel corso del 2007, la casa di cura aveva agito in giudizio nei confronti dell’Azienda Sanitaria allo scopo di ottenere la declaratoria di “rescissione per lesione del contratto”, in quanto sarebbero stati “erogati servizi pari a oltre 36 milioni di Euro a fronte di un budget previsto di oltre 18 milioni di Euro” approfittando dello stato di bisogno della casa di cura, “al fine di poter rinegoziare il volume massimo di prestazioni per l’anno 2006”.
Il Tribunale, pronunciatosi in primo grado, riteneva che non fosse stata fornita la prova “in ordine ai presupposti richiesti dall’art. 1448 c.c., costituiti dalla lesione ultra dimidium e dalla conoscenza dello stato di bisogno da parte dell’Azienda Sanitaria”.
Infatti, il Tribunale rilevava che, “ai sensi dell’art. 4 dello stesso contratto, per le prestazioni che avessero superato i volumi massimi di attività e i tetti di spesa concordati, era stata prevista una retribuzione secondo un sistema tariffario di progressivo abbattimento dei costi in base a criteri stabiliti dalla delibera della Giunta Regionale. Con la conseguenza che, non avendo l’attrice tenuto conto di questa clausola, non vi era prova del superamento richiesto dall’art. 1448 c.c.”
Osservava il Tribunale, in proposito, che “il superamento era stato basato dall’attrice sul numero delle prestazioni erogate nell’anno 2006 corrispondenti ad un corrispettivo (pari a oltre 36 milioni di Euro), superiore di oltre la metà rispetto a quello convenuto in contratto (oltre 18 milioni di Euro), ma senza considerare gli abbattimenti tariffari previsti nell’art. 4 suddetto per le prestazioni in eccedenza rispetto al massimo concordato”.
Per quanto riguardava, invece, la “mancata prova della conoscenza dello stato di bisogno”, il Tribunale rilevava che “la conclusione del contratto era intervenuta all’esito di incontri negoziali, anche a livello regionale e sindacale, rispetto ai quali non risultava in atti che fosse emerso lo stato di bisogno assunto dall’attrice”.
Giunti dinanzi alla Corte di Cassazione, la casa di cura assumeva l’erroneità della sentenza del Tribunale, la quale aveva “considerato una circostanza, quella della erogazione delle somme per prestazioni eccedenti il tetto secondo i previsti progressivi abbattimenti, dandone per scontata l’attuazione, mentre, tale clausola non aveva operato e la dimostrazione della sua operatività avrebbe dovuto gravare sull’azienda quale fatto impeditivo della lesione ultra dimidium concretata dalle prestazioni erogate; mentre, l’azienda non aveva eccepito tale circostanza”.
Secondo la casa di cura, inoltre, il Tribunale non avrebbe considerato “il notorio stato di bisogno in cui si trovano le case di cura, che si sostengono quasi esclusivamente con i contributi delle aziende sanitarie”
La Corte di Cassazione, tuttavia, non riteneva di poter aderire alle argomentazioni svolte dalla casa di cura.
Secondo la Corte, infatti, “l’azione generale di rescissione del contratto per lesione tutela l’equilibrio delle prestazioni tra le parti nella fase della formazione del contratto” e ha lo scopo di proteggere “il contraente dal contratto a condizioni inique”.
Osservava la Corte, inoltre, come, ai fini della rescissione per lesione, è necessario che la situazione di difficoltà economica “incida sulla libera determinazione a contrarre inducendo ad accettare una sproporzione fra le prestazioni” e che sussista “l’approfittamento dell’altra parte, come consapevolezza dello stato di bisogno e della sproporzione tra le prestazioni”.
Per quanto riguarda, in particolare, la lesione, essa, ricordava la Corte, “deve essere oltre la metà”, nel senso che “la prestazione ricevuta deve essere inferiore alla metà del valore che la prestazione eseguita aveva al tempo del contratto e la sproporzione deve perdurare fino al momento in cui l’azione è proposta”.
Nel caso di specie, secondo la Cassazione, la mancanza di prova circa la “sproporzione della prestazione essenziale per la lesione” assorbiva “ogni ulteriore scrutinio in ordine alla esistenza dello stato di bisogno”, con la conseguenza che il ricorso andava rigettato.
La Corte di Cassazione, infatti, affermava il principio di diritto secondo cui “qualora, come nella specie di contratti stipulati per la erogazione di prestazioni sanitarie presso strutture private, il contratto preveda regimi tariffari differenziati in ragione del rientro delle prestazioni entro determinati volumi di attività e dell’eccedenza rispetto a questi volumi massimi, con abbattimenti progressivi della remunerazione, la prospettazione attorea di una lesione ultra dimidium che prescinda dall’insieme delle modalità di determinazione del prezzo è di per sé idonea ad escludere la sussistenza della prova, a carico dell’attore, in ordine alla lesione prospettata“.
Alla luce di tali considerazioni, la Cassazione rigettava il ricorso, condannando la ricorrente al pagamento delle spese processuali.