Nel caso sottoposto all’esame della Cassazione, due lavoratori dipendenti avevano fruito dei permessi di cui all’art. 33, comma 3, della legge n. 104 del 1992 (permessi per assistere i famigliari disabili) ma si erano visti decurtare tali giorni dalle ferie.
I dipendenti in questione, ritenendo tale condotta illegittima, si erano rivolti al Tribunale, il quale aveva, effettivamente, riconosciuto l’illegittimità della predetta decurtazione, affermando il diritto dei lavoratori alla cessazione immediata di tali comportamenti e al pagamento dell’indennità sostitutiva delle ferie.
La sentenza era stata confermata dalla Corte d’appello, con la conseguenza che la società datrice di lavoro aveva deciso di rivolgersi alla Corte di Cassazione, nella speranza di ottenerne l’annullamento.
La Corte di Cassazione, tuttavia, riteneva di dover aderire alle considerazioni svolte dai giudici dei precedenti gradi di giudizio, rigettando il ricorso proposto dalla società, in quanto infondato.
Osservava la Cassazione, infatti, che i permessi di cui all’art. 33 della legge n. 104/1992 possono essere computati ai fini delle ferie solamente nel caso in cui “essi debbano cumularsi effettivamente con il congedo parentale ordinario - che può determinare una significativa sospensione della prestazione lavorativa - e con il congedo per malattia del figlio, per i quali compete un'indennità inferiore alla retribuzione normale”.
Nel caso di specie, invece, i permessi in questione erano stati accordati “per l'assistenza di un familiare portatore di handicap”, con la conseguenza che la Corte d’appello aveva, del tutto correttamente, ritenuto che gli stessi “concorressero nella determinazione dei giorni di ferie maturati dal lavoratore che ne ha beneficiato”.
A sostegno della propria decisione, la Corte di Cassazione evidenziava, peraltro, che la Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità, resa esecutiva in Italia con la legge n. 18 del 2009, “prevede il sostegno e la protezione da parte della società e degli Stati non solo per i disabili, ma anche per le loro famiglie, ritenute strumento indispensabile per contribuire al pieno ed uguale godimento dei diritti delle persone con disabilità”.
Alla luce di tali considerazioni, la Corte di Cassazione rigettava il ricorso proposto dalla datrice di lavoro, confermando integralmente la sentenza impugnata.