Segnatamente, la Cassazione ritiene che ai fini della configurabilità della summenzionata circostanza aggravante non basta la mera presunzione di appartenenza ad un “clan storico”, tantomeno una organizzazione criminosa caratterizzata dall'impiego di numerosi uomini e mezzi o dall'uso di armi anche da guerra. Ciò perché tali espedienti non costituiscono "patrimonio" esclusivo delle organizzazioni di tipo mafioso (nel caso di specie, si trattava di una cellula criminale operante nella Regione Puglia), ben potendo essere utilizzate da gruppi criminali che, pur altamente "professionali" e organizzati, non rispondono alle indicazioni tipologiche previste dall'art. 416-bis c.p..
Ciò che occorre in omaggio all’art. 27 Cost. è invece l’effettivo ricorso al c.d. metodo mafioso che deve essersi concretizzato in un comportamento idoneo ad esercitare sulle vittime quella condizione di coartazione psicologica che deriva dalla prospettazione di un male ingiusto proveniente da un tipo di sodalizio criminoso dedito a molteplici ed efferati delitti. Se la ratio della disposizione aggravante è dunque punire quelle condotte che astrattamente gravitano attorno alla associazione criminosa, allora appare logico ritenere configurabile l’aumento sanzionatorio anche in presenza dell'utilizzo di un messaggio intimidatorio c.d. silente ovvero cioè privo di un'esplicita richiesta. Tuttavia, in omaggio al principio di offensività, è necessario che da tale messaggio emerga la carica lesiva della minaccia il che accade quando l'associazione abbia raggiunto una forza intimidatrice tale da rendere superfluo l'avvertimento mafioso, sia pure implicito, ovvero il ricorso a specifici comportamenti di violenza o minaccia.
Entrando nel merito del decisum della sentenza, gli Ermellini ritengono che l'aggravante in commento sia configurabile in tutti i casi in cui le condotte dei soggetti agenti presentino un nesso eziologico rispetto all’azione criminosa poichè logicamente funzionali alla più pronta e agevole perpetrazione del crimine Ciò che rileva, dunque, non è tanto che il soggetto agente assuma la qualità di intraneus nel sodalizio criminoso quanto ponga in essere, nella commissione del fatto a lui addebitato, un comportamento minaccioso tale da richiamare alla mente e alla sensibilità del soggetto passivo quello comunemente ritenuto proprio di chi appartenga a un sodalizio del genere anzidetto. Sotto il punto di vista probatorio, secondo la Cassazione non occorre neanche che sia dimostrata processualmente l’esistenza di un vero e proprio sodalizio, essendo sufficiente che la violenza o la minaccia richiamino alla mente e alla sensibilità del soggetto passivo la forza intimidatrice tipicamente mafiosa del vincolo associativo.