In Italia, la pensione di reversibilità è un istituto del sistema previdenziale pubblico, che ha lo scopo di garantire un sostegno economico ai familiari superstiti del titolare di pensione o assicurazione (tipicamente il coniuge e i figli) quando questi venga a mancare. La misura e le condizioni per il riconoscimento dipendono dalla normativa vigente (in particolare il D.P.R. n. 1092/1973 e le sue successive modifiche, nonché le disposizioni del sistema previdenziale ereditate dal regime INPS).
Un tema cruciale che spesso interessa i beneficiari è l’adeguamento delle pensioni, effettuato in virtù della rivalutazione automatica degli importi in considerazione dell’inflazione e dell’aumento del costo della vita. In virtù di tali meccanismi, anche le pensioni di reversibilità partecipano agli incrementi annuali, nei limiti e secondo le modalità stabilite dalla legge.
Per il 2026 si stima una rivalutazione dell’1,7%, aumento pari a più del doppio rispetto allo 0,8 % registrato nel 2025.
Per comprendere appieno le novità previste, occorre ricordare il funzionamento legale della rivalutazione pensionistica. Ogni anno, l’ISTAT comunica i dati relativi all’incremento dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati, e tali dati vengono utilizzati per l’adeguamento automatico delle pensioni affinché il potere d’acquisto non diminuisca nel tempo.
L’adeguamento non è lo stesso per tutti gli importi: la legge stabilisce delle fasce di trattamento, con coefficienti decrescenti all’aumentare dell’importo pensionistico. Ciò significa che, fino a un certo limite (ad esempio fino a quattro volte il trattamento minimo pensionistico), la rivalutazione è piena, pari al 100 % della percentuale stabilita. Oltre tale soglia, la rivalutazione può essere applicata in misura ridotta (ad esempio al 90 % per importi entro cinque volte il minimo, e al 75 % per quelli oltre).
Quanto alle pensioni di reversibilità, tali prestazioni vengono versate in percentuale rispetto a quanto percepiva il pensionato deceduto, a seconda che il percettore di reversibilità sia il coniuge o il figlio superstite. Al coniuge spetta il 60% del trattamento pensionistico riservato al titolare, mentre ai figli il 20%. Quindi, l’aumento percentuale si applica innanzitutto alla pensione “di base” rivalutata, e poi si calcola la quota spettante ai beneficiari.
Per avere un’idea concreta degli aumenti che potrebbero essere percepiti, di seguito facciamo alcune stime.
Una pensione “di base”, di 1.500 euro lordi, verrebbe rivalutata dell’1,7 % e passerebbe a 1.525,50 euro. Da questo importo, al coniuge spetterebbe il 60%, ossia 915,30 euro (rispetto ai precedenti 900 euro), mentre al figlio, ove legittimato, spetterebbe il 20%, ossia circa 305,10 euro.
In caso di pensione originaria di 2.500 euro, la parte che rientra fino a quattro volte il minimo beneficia della piena rivalutazione (1,7%), mentre la parte eccedente potrebbe subire una maggiorazione ridotta in virtù del meccanismo a scalare. L’aumento complessivo stimato è di circa 42,40 euro lordi mensili. Di quell’incremento, al coniuge spetterebbe il 60% (che salirebbe dunque da 1.500 a circa 1.525,45 euro), e al figlio il 20% (da 500 a circa 508,97 euro).
Queste simulazioni sono utili per farsi un’idea, ma non vanno confuse con valori ufficiali definitivi: essi sono soggetti a conferme legislative e a verifiche tecniche da parte dell’INPS, e possono subire correttivi in sede di bilancio statale.
Questo aumento ha delle implicazioni anche sotto il profilo della tassazione: l’aumento della pensione comporta una maggiore base imponibile IRPEF per il beneficiario. Pertanto, l’incremento “netto” percepito può risultare inferiore rispetto all’1,7 % lordo, in ragione delle aliquote applicate e degli scaglioni di reddito del superstite.
Per i beneficiari, anche un aumento di pochi euro mensili può rappresentare un contributo al bilancio familiare. È dunque importante che i superstiti siano consapevoli del meccanismo di rivalutazione, dei propri diritti in termini di quota spettante e dei possibili limiti di reddito che potrebbero incidere sul diritto stesso.
Alla luce delle stime, l’aumento dell’1,7% per il 2026 rappresenta un passo in avanti rispetto all’anno precedente, e indica un’esigenza di adeguamento più incisivo rispetto al passato, in ragione dell’aumento dell’inflazione.
Un tema cruciale che spesso interessa i beneficiari è l’adeguamento delle pensioni, effettuato in virtù della rivalutazione automatica degli importi in considerazione dell’inflazione e dell’aumento del costo della vita. In virtù di tali meccanismi, anche le pensioni di reversibilità partecipano agli incrementi annuali, nei limiti e secondo le modalità stabilite dalla legge.
Per il 2026 si stima una rivalutazione dell’1,7%, aumento pari a più del doppio rispetto allo 0,8 % registrato nel 2025.
Per comprendere appieno le novità previste, occorre ricordare il funzionamento legale della rivalutazione pensionistica. Ogni anno, l’ISTAT comunica i dati relativi all’incremento dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati, e tali dati vengono utilizzati per l’adeguamento automatico delle pensioni affinché il potere d’acquisto non diminuisca nel tempo.
L’adeguamento non è lo stesso per tutti gli importi: la legge stabilisce delle fasce di trattamento, con coefficienti decrescenti all’aumentare dell’importo pensionistico. Ciò significa che, fino a un certo limite (ad esempio fino a quattro volte il trattamento minimo pensionistico), la rivalutazione è piena, pari al 100 % della percentuale stabilita. Oltre tale soglia, la rivalutazione può essere applicata in misura ridotta (ad esempio al 90 % per importi entro cinque volte il minimo, e al 75 % per quelli oltre).
Quanto alle pensioni di reversibilità, tali prestazioni vengono versate in percentuale rispetto a quanto percepiva il pensionato deceduto, a seconda che il percettore di reversibilità sia il coniuge o il figlio superstite. Al coniuge spetta il 60% del trattamento pensionistico riservato al titolare, mentre ai figli il 20%. Quindi, l’aumento percentuale si applica innanzitutto alla pensione “di base” rivalutata, e poi si calcola la quota spettante ai beneficiari.
Per avere un’idea concreta degli aumenti che potrebbero essere percepiti, di seguito facciamo alcune stime.
Una pensione “di base”, di 1.500 euro lordi, verrebbe rivalutata dell’1,7 % e passerebbe a 1.525,50 euro. Da questo importo, al coniuge spetterebbe il 60%, ossia 915,30 euro (rispetto ai precedenti 900 euro), mentre al figlio, ove legittimato, spetterebbe il 20%, ossia circa 305,10 euro.
In caso di pensione originaria di 2.500 euro, la parte che rientra fino a quattro volte il minimo beneficia della piena rivalutazione (1,7%), mentre la parte eccedente potrebbe subire una maggiorazione ridotta in virtù del meccanismo a scalare. L’aumento complessivo stimato è di circa 42,40 euro lordi mensili. Di quell’incremento, al coniuge spetterebbe il 60% (che salirebbe dunque da 1.500 a circa 1.525,45 euro), e al figlio il 20% (da 500 a circa 508,97 euro).
Queste simulazioni sono utili per farsi un’idea, ma non vanno confuse con valori ufficiali definitivi: essi sono soggetti a conferme legislative e a verifiche tecniche da parte dell’INPS, e possono subire correttivi in sede di bilancio statale.
Questo aumento ha delle implicazioni anche sotto il profilo della tassazione: l’aumento della pensione comporta una maggiore base imponibile IRPEF per il beneficiario. Pertanto, l’incremento “netto” percepito può risultare inferiore rispetto all’1,7 % lordo, in ragione delle aliquote applicate e degli scaglioni di reddito del superstite.
Per i beneficiari, anche un aumento di pochi euro mensili può rappresentare un contributo al bilancio familiare. È dunque importante che i superstiti siano consapevoli del meccanismo di rivalutazione, dei propri diritti in termini di quota spettante e dei possibili limiti di reddito che potrebbero incidere sul diritto stesso.
Alla luce delle stime, l’aumento dell’1,7% per il 2026 rappresenta un passo in avanti rispetto all’anno precedente, e indica un’esigenza di adeguamento più incisivo rispetto al passato, in ragione dell’aumento dell’inflazione.