Le giornate di lavoro possono essere molto dure e, a volte, una piccola pausa diventa una vera e propria necessità per i dipendenti, anche solo per prendere un caffè o fumare una sigaretta.
Però, il datore può vietare al dipendente di fare una “pausa caffè” o una “pausa sigaretta”?
La normativa (l’art. 8 del d.lgs. n. 66/2003) definisce la “pausa” come un modo per recuperare le energie fisiche e mentali, per consumare il pasto e per l’attenuazione di mansioni monotone e ripetitive.
Tuttavia, proprio questa disciplina prevede un intervallo di pausa, ma solo a determinate condizioni.
Quando la pausa è un diritto del lavoratore?
Innanzitutto, occorre guardare all’orario di lavoro per capire i casi in cui il lavoratore dipendente ha diritto ad una pausa di riposo.
L’orario di lavoro non è altro che quel periodo in cui il dipendente è al lavoro, a disposizione del datore e nell’esercizio della sua attività o delle sue funzioni.
L’orario normale è fissato in 40 ore settimanali. Però, i contratti collettivi di lavoro possono stabilire una durata minore e riferire l'orario normale alla durata media delle prestazioni lavorative in un periodo non superiore all'anno. Invece, l’orario massimo è stabilito dai contratti collettivi di lavoro, ma la durata media dell'orario di lavoro non può superare, per ogni periodo di sette giorni, le 48 ore, comprese le ore di lavoro straordinario.
Allora, la normativa stabilisce quali sono i riposi obbligatori nell’orario di lavoro.
Salvo deroghe stabilite dai contratti collettivi, i lavoratori hanno diritto ad un riposo giornaliero di 11 ore consecutive, ogni 24 ore. Pertanto, l’orario massimo giornaliero è di 13 ore giornaliere.
Dunque, quando il lavoratore dipendente ha diritto ad una pausa di riposo e il datore non può vietarla?
In base alla normativa (sempre il d.lgs. n. 66/2003), il lavoratore dipendente ha diritto ad una pausa di riposo, anche sul posto di lavoro o in altro luogo autorizzato, quando l’orario di lavoro giornaliero supera le sei ore. Ciò proprio per permettere al dipendente di recuperare le energie, rilassarsi, parlare con i colleghi, alleviare lo stress.
Le modalità e la durata dell’intervallo per la pausa sono stabiliti dai contratti collettivi di lavoro o dai regolamenti aziendali. Se manca una disciplina collettiva, comunque al lavoratore deve essere riconosciuta una pausa di almeno 10 minuti.
Questa pausa può essere utilizzata dal lavoratore nel modo che preferisce. È il Ministero del Lavoro a precisarlo (con la circ. n. 8 del 2005). Quindi, ad esempio, il dipendente può usufruire dei suoi 10 minuti di intervallo per prendere un caffè, andare in bagno, consumare un pasto oppure fumare una sigaretta.
Peraltro, il momento di fruizione della pausa può coincidere con qualsiasi momento della giornata lavorativa e, in mancanza di una previsione collettiva, la sua collocazione è decisa dal datore in base alle esigenze tecniche del processo lavorativo.
Quindi, secondo la normativa in vigore, la pausa non può essere inferiore a 10 minuti.
In pratica, il datore potrà vietare ai propri dipendenti di fare una pausa soltanto quando l’intervallo superi il periodo di tempo stabilito nel contratto collettivo o nel regolamento aziendale o, in mancanza di disciplina, quando comunque vengono superati i 10 minuti.
La pausa è un periodo di non lavoro (cioè, non rientra nell’orario di lavoro e non rientra nemmeno nel periodo di riposo giornaliero). Ecco perché, in generale, non è retribuita. Inoltre, dato che usufruire della pausa è un diritto indisponibile, la pausa non può essere sostituita da compensazioni economiche.
Però, attenzione. In base alla normativa (art. 8, comma 3 del d.lgs. n. 66/2003 e art. 5 del R.D. n. 1955/1923), la pausa è retribuita quando è inferiore a 10 minuti (ad esempio, quei brevissimi intervalli legati ad esigenze di alleggerimento del carico di lavoro o a necessità fisiologiche del lavoratore).
Però, il datore può vietare al dipendente di fare una “pausa caffè” o una “pausa sigaretta”?
La normativa (l’art. 8 del d.lgs. n. 66/2003) definisce la “pausa” come un modo per recuperare le energie fisiche e mentali, per consumare il pasto e per l’attenuazione di mansioni monotone e ripetitive.
Tuttavia, proprio questa disciplina prevede un intervallo di pausa, ma solo a determinate condizioni.
Quando la pausa è un diritto del lavoratore?
Innanzitutto, occorre guardare all’orario di lavoro per capire i casi in cui il lavoratore dipendente ha diritto ad una pausa di riposo.
L’orario di lavoro non è altro che quel periodo in cui il dipendente è al lavoro, a disposizione del datore e nell’esercizio della sua attività o delle sue funzioni.
L’orario normale è fissato in 40 ore settimanali. Però, i contratti collettivi di lavoro possono stabilire una durata minore e riferire l'orario normale alla durata media delle prestazioni lavorative in un periodo non superiore all'anno. Invece, l’orario massimo è stabilito dai contratti collettivi di lavoro, ma la durata media dell'orario di lavoro non può superare, per ogni periodo di sette giorni, le 48 ore, comprese le ore di lavoro straordinario.
Allora, la normativa stabilisce quali sono i riposi obbligatori nell’orario di lavoro.
Salvo deroghe stabilite dai contratti collettivi, i lavoratori hanno diritto ad un riposo giornaliero di 11 ore consecutive, ogni 24 ore. Pertanto, l’orario massimo giornaliero è di 13 ore giornaliere.
Dunque, quando il lavoratore dipendente ha diritto ad una pausa di riposo e il datore non può vietarla?
In base alla normativa (sempre il d.lgs. n. 66/2003), il lavoratore dipendente ha diritto ad una pausa di riposo, anche sul posto di lavoro o in altro luogo autorizzato, quando l’orario di lavoro giornaliero supera le sei ore. Ciò proprio per permettere al dipendente di recuperare le energie, rilassarsi, parlare con i colleghi, alleviare lo stress.
Le modalità e la durata dell’intervallo per la pausa sono stabiliti dai contratti collettivi di lavoro o dai regolamenti aziendali. Se manca una disciplina collettiva, comunque al lavoratore deve essere riconosciuta una pausa di almeno 10 minuti.
Questa pausa può essere utilizzata dal lavoratore nel modo che preferisce. È il Ministero del Lavoro a precisarlo (con la circ. n. 8 del 2005). Quindi, ad esempio, il dipendente può usufruire dei suoi 10 minuti di intervallo per prendere un caffè, andare in bagno, consumare un pasto oppure fumare una sigaretta.
Peraltro, il momento di fruizione della pausa può coincidere con qualsiasi momento della giornata lavorativa e, in mancanza di una previsione collettiva, la sua collocazione è decisa dal datore in base alle esigenze tecniche del processo lavorativo.
Quindi, secondo la normativa in vigore, la pausa non può essere inferiore a 10 minuti.
In pratica, il datore potrà vietare ai propri dipendenti di fare una pausa soltanto quando l’intervallo superi il periodo di tempo stabilito nel contratto collettivo o nel regolamento aziendale o, in mancanza di disciplina, quando comunque vengono superati i 10 minuti.
La pausa è un periodo di non lavoro (cioè, non rientra nell’orario di lavoro e non rientra nemmeno nel periodo di riposo giornaliero). Ecco perché, in generale, non è retribuita. Inoltre, dato che usufruire della pausa è un diritto indisponibile, la pausa non può essere sostituita da compensazioni economiche.
Però, attenzione. In base alla normativa (art. 8, comma 3 del d.lgs. n. 66/2003 e art. 5 del R.D. n. 1955/1923), la pausa è retribuita quando è inferiore a 10 minuti (ad esempio, quei brevissimi intervalli legati ad esigenze di alleggerimento del carico di lavoro o a necessità fisiologiche del lavoratore).