Nel caso esaminato dalla Cassazione, il Tribunale di Savona aveva condannato un imputato per il reato di “molestia o disturbo alle persone”, di cui all’art. 660 c.p., in quanto questi, mentre era ricoverato in Ospedale, aveva “recato molestia, per petulanza, a medici ed infermieri in servizio presso il reparto di dermatologia dell'Ospedale (OMISSIS), alzando la voce, ingiuriando il personale, pretendendo in modo insistente, secondo tempi e modi da lui arbitrariamente stabiliti, terapie e assistenza, nell'immediato non dovute”.
Ritenendo la decisione ingiusta, l’imputato aveva deciso di rivolgersi alla Corte di Cassazione, nella speranza di ottenere l’annullamento della sentenza sfavorevole.
Evidenziava il ricorrente, in particolare, che il comportamento tenuto non era stato caratterizzato dalla “dalla consapevolezza di fare dispetto”.
La Corte di Cassazione riteneva, in effetti, di dover dar ragione all’imputato, accogliendo il relativo ricorso, in quanto fondato.
Secondo la Cassazione, in particolare, dagli accertamenti effettuati in corso di causa era emerso che solo alcuni dei comportamenti contestati all’imputato potevano essere qualificati come “comportamenti di disturbo”, mentre altri non avevano assunto queste caratteristiche.
Ebbene, secondo la Cassazione, ai fini della configurabilità del reato di cui all’art. 660 c.p., è necessario che l’azione di disturbo o di molestia (che può essere anche una sola), sia “ispirata da biasimevole motivo” o abbia “il carattere della petulanza, che consiste in un modo di agire pressante ed indiscreto, tale da interferire sgradevolmente nella sfera privata di altri”.
Tuttavia, nel caso di specie, il ricorrente non aveva preteso nulla in maniera petulante e il comportamento tenuto dal paziente avrebbe dovuto essere valutato con maggiore attenzione da parte dei giudici del precedente grado di giudizio.
Evidenziava la Cassazione, infatti, che la sentenza impugnata era contraddittoria in quanto, da un lato, affermava che il paziente “si era sempre presentato in ospedale dopo avere prenotato le visite, non aveva richiesto di essere visitato prima degli altri pazienti che lo stesso giorno erano in attesa di visite, non aveva preteso terapie con tempi e modi da lui arbitrariamente stabiliti” e, d’altro lato, affermava che il paziente stesso, “in replica all'affermazione del medico di turno secondo cui egli era clinicamente guarito” si era alterato, “sostenendo con veemenza che qualora ne avesse avuto la necessità, su prescrizione del medico di base, si sarebbe certamente ripresentato”.
Ciò considerato, la Cassazione non riteneva, dunque, che sussistessero gli elementi propri del reato di cui all’art. 660 c.p., in quanto non era emerso che il ricorrente avesse “coscienza e volontà di tenere la condotta nella consapevolezza della sua idoneità a molestare o disturbare il soggetto passivo, inopportunamente interferendo nella sua sfera di libertà”.
La Corte di Cassazione, dunque, accoglieva il ricorso proposto dal ricorrente, annullando la sentenza impugnata e rinviando la causa al Tribunale di Savona, affinchè questo decidesse nuovamente sulla questione, in base ai principi sopra enunciati.