Naturalmente, la malattia deve effettivamente sussistere e non può essere di certo inventata, anche perché il dipendente deve trovarsi in casa nelle fasce di reperibilità, nel caso si presenti il medico per la visita fiscale.
In merito al lavoratore in malattia, il Tribunale di Pavia è stato recentemente chiamato a pronunciarsi sul caso di un dipendente che, dopo aver presentato un certificato medico per mal di schiena, era stato invece "beccato" a comprare casse d'acqua al centro commerciale.
Il protagonista della vicenda è un lavoratore quarantenne, assunto a tempo determinato presso un'azienda metalmeccanica, il quale si era messo in malattia, presentando un certificato per lombalgia acuta, per poi essere sorpreso a fare la spesa e a intrattenersi in chiacchiere con dei conoscenti.
Il datore di lavoro, infatti, aveva assunto un investigatore privato, che lo aveva fotografato in un centro commerciale mentre, in particolare, trasportava pesanti casse d'acqua, attività incompatibile con la patologia lamentata. Successivamente, l'uomo si era recato presso un'altra ditta per chiacchierare con dei conoscenti.
L'azienda procedeva quindi con contestazione disciplinare, sospendendo l'uomo dal lavoro, in particolare evidenziando che i comportamenti del lavoratore avrebbero arrecato pregiudizio alla sua guarigione, e che lo stesso aveva violato gli obblighi di diligenza, fedeltà, correttezza e buona fede.
Nonostante le giustificazioni del dipendente (che, in particolare, evidenziava di essere uscito al di fuori delle fasce di reperibilità per fare la spesa, e di essersi intrattenuto in altra azienda per poco tempo), il datore di lavoro, successivamente, gli intimava il licenziamento, che veniva impugnato dal lavoratore.
Le parti si ritrovavano, quindi, innanzi al Tribunale di Pavia, a cui il dipendente chiedeva di annullare il licenziamento e condannare l'azienda al pagamento delle mensilità spettanti fino alla scadenza del rapporto di lavoro.
Il giudice del lavoro accoglieva le richieste dell'uomo, evidenziando che lo stesso aveva riferito di limitati movimenti per le necessità quotidiane e di un unico episodio in cui aveva fatto visita ad un imprenditore amico di famiglia, trattenendosi per pochissimo tempo.
Il Tribunale, inoltre, evidenziava che le numerose visite fiscali eseguite su richiesta del datore di lavoro avevano sempre confermato la malattia, e condannava di conseguenza la ditta a pagare circa 7.600 euro di danni al lavoratore, ossia gli stipendi non ricevuti, nonché le spese del procedimento.