L’Ordinanza della Cassazione, sezione tributaria civile, n. 22767 del 12 settembre 2019 si è occupata del caso di un hotel di Napoli il quale, dopo aver ricevuto dal comune una cartella di pagamento di 50.000 euro relativamente ad un periodo d’imposta in cui il servizio di smaltimento era stato inefficiente, ha proposto ricorso verso tale provvedimento.
Ai sensi dell’art. 59 comma 4 del D. Lgs. 507/1993, infatti, “se il servizio di raccolta, sebbene istituito e attivato, non si è svolto nella zona di residenza o di dimora nell’immobile a disposizione ovvero di esercizio dell’attività dell’utente o è effettuato in grave violazione delle prescrizioni del regolamento di cui al primo comma, relative alle distanze e capacità dei contenitori ed alla frequenza della raccolta, da stabilire in modo che l’utente possa usufruire agevolmente del servizio di raccolta, il tributo è dovuto nella misura ridotta di cui al secondo periodo del comma 2”, ovvero in misura non superiore al 40% della tariffa.
Il fatto che il servizio di raccolta, affermano i giudici, non si sia svolto nella zona di residenza o vi sia svolto in grave violazione delle prescrizioni normative, costituisce un dato obiettivo, che prescinde quindi dalla precisa attribuzione della responsabilità per il disservizio.
La stessa Corte aveva infatti già in precedenza affermato che il presupposto della riduzione della tarsu "non richiede che il grave e non temporaneo disservizio sia imputabile a responsabilità dell'amministrazione comunale o comunque a causa che, rientrando nella sua sfera di controllo ed organizzazione, sia da questa prevedibile o prevenibile".
Sono infatti state respinte le doglianze del comune di Napoli che ha cercato di difendersi facendo leva sul fatto di non avere alcuna responsabilità per l’inefficienza del servizio di smaltimento, ritenendo che la stessa ricadesse in capo ad altri enti esterni.
A nulla sono valse le richieste dell'ente locale volte ad effettuare indagini più approfondite per attribuire correttamente la responsabilità del danno cagionato all’utente.
La Cassazione, infatti, ha affermato che per il contribuente, a fronte del dato oggettivo del disservizio, sarà sufficiente provare le circostanze di fatto che dimostrino che il servizio si è svolto in grave violazione delle regole della nettezza urbana, causando un grave e perdurante disagio.
In altri termini, affermano gli ermellini, il fatto che il presupposto della tarsu si basi su un’erogazione del servizio di smaltimento che sia efficiente e puntuale conferma l’ininfluenza, per il contribuente, di chi sia l’effettivo responsabile del disservizio. Egli avrà, in ogni caso, diritto ad una riduzione della tariffa.