Nel caso esaminato dalla Cassazione, la Corte d’appello di Firenze, in riforma della sentenza di primo grado, aveva condannato una banca a risarcire “il danno non patrimoniale per lesione al diritto alla immagine”, subito da una società a seguito della erronea segnalazione di debiti insoluti, relativi al pagamento di canoni di leasing, “con conseguente iscrizione della società commerciale tra i debitori inadempienti nel registro della banca dati privata”.
In sostanza, la società in questione era stata erroneamente registrata quale “debitore inadempiente” e, di conseguenza, la banca era stata condannata a risarcirle il danno all’immagine subito.
Secondo la Corte d’appello, infatti, il danno all’immagine era consistito “nella concreta percepibilità della informazione negativa”, la quale avrebbe potuto pregiudicare l’accesso al credito da parte della società.
La banca, ritenendo la decisione ingiusta, aveva deciso di rivolgersi alla Corte di Cassazione, nella speranza di ottenere l’annullamento della sentenza sfavorevole.
Secondo la ricorrente, in particolare, la Corte d’appello avrebbe erroneamente ritenuto che “la durata (oltre due mesi) della permanenza della errata segnalazione nella banca-dati” avesse realizzato “una concreta interferenza sulle esigenze di accesso al credito”.
La Corte di Cassazione, tuttavia, non riteneva di poter dar ragione alla ricorrente, rigettando il relativo ricorso, in quanto infondato.
Evidenziava la Cassazione, infatti, che l’illecito produttivo di un danno non patrimoniale, ai sensi dell’art. 2059 c.c., è rappresentato da una qualsiasi condotta materiale che comporti la violazione di un “interesse giuridicamente suscettibile di protezione secondo l'ordinamento giuridico”.
Secondo la Cassazione, dunque, non rileva, ai fini della rilevanza della risarcibilità del danno, che le conseguenze pregiudizievoli abbiano natura non economica.
In ogni caso, ai fini della risarcibilità del danno non patrimoniale, secondo la Cassazione è sempre necessario dimostrare, ai sensi dell’art. 2043 c.c., la condotta illecita, l’ingiusta lesione di un interesse tutelato dall’ordinamento, il nesso di causalità tra la condotta e l’evento dannoso e la sussistenza di un concreto pregiudizio patito dal titolare dell’interesse leso.
Secondo la Cassazione, dunque, il danno non patrimoniale (alla pari di quello patrimoniale), deve essere “specificamente allegato e provato ai fini risarcitori, anche mediante presunzioni”, non potendo mai considerarsi implicitamente sussistente.
Ebbene, nel caso di specie, la Cassazione evidenziava che la Corte d’appello aveva rispettato i principi sopra enunciati, avendo la stessa accertato “gli effetti pregiudizievoli di natura non patrimoniale prodotti dalla condotta illecita della banca consistiti (…) nella situazione in cui si era venuta a trovare la società nell'ambiente in cui operava (…) che la qualificava come soggetto economico se non impresentabile comunque a ridotta affidabilità rispetto alle società regolarmente adempienti agli obblighi restitutori delle rate di finanziamento o dei canoni di leasing”.
Alla luce di tali considerazioni, la Corte di Cassazione rigettava il ricorso proposto dalla banca, confermando integralmente la sentenza resa dalla Corte d’appello e condannando la banca anche al pagamento delle spese processuali.