Nel caso esaminato dalla Cassazione, una figlia aveva agito in giudizio, esponendo di essere nata da una donna che aveva chiesto di rimanere anonima e di essere stata, pertanto, adottata.
La figlia, in particolare, si era rivolta al giudice al fine di accedere, come previsto anche dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 278/2013, “ai dati riguardanti la madre e il parto contenuti nella cartella clinica relativa alla sua nascita”.
Il Tribunale per i minorenni aveva accolto l’istanza della minore, richiedendo all’ospedale i dati relativi alla madre biologica. Tuttavia, dopo aver riscontrato l’intervenuto decesso della madre, il Tribunale aveva rigettato l’istanza della figlia biologica, “sul presupposto dell’impossibilità di interpellare la madre sulla sua persistente volontà di mantenere l’anonimato”.
La figlia, dunque, proponeva reclamo avverso tale pronuncia, la quale, tuttavia, veniva confermata anche dalla Corte d’appello.
Giunti al terzo grado di giudizio, la ricorrente lamentava, dinanzi la Corte di Cassazione, l’erronea interpretazione, da parte dei giudici dei precedenti gradi di giudizio, dell’art. 28 della legge n. 184/1983.
La Corte di Cassazione riteneva di dover aderire alle argomentazioni svolte dalla ricorrente, osservando che “il diritto alla conoscenza delle proprie origini biologiche e alle circostanze della propria nascita trova un sempre più ampio riconoscimento a livello internazionale e sovranazionale”.
In particolare, la Corte di Cassazione, evidenziava che la Convenzione di New York del 20 novembre 1989 delle Nazioni Unite in materia di diritti dei minori prevede espressamente, all’art. 7, “che il minore ha diritto, nella misura del possibile, a conoscer\e i propri genitori sin dalla sua nascita”.
Allo stesso modo, “la Convenzione de L’Aja del 29 maggio 1993, relativa alla protezione dei minori e alla cooperazione in materia di adozione internazionale prevede, all’art. 30, che le autorità competenti si impegnano a conservare le informazioni che detengono sulle origini del minore, specificamente quelle relative all’identità della madre e del padre, così come i dati sulla storia sanitaria del minore e della sua famiglia e assicurano l’accesso del minore o del suo rappresentante a queste informazioni nella misura prevista dalla legge del loro Stato”.
La Corte di Cassazione, inoltre, evidenziava che, dopo la nascita, “il diritto all’anonimato diventa strumentale a proteggere la scelta compiuta dalle conseguenze sociali e in generale dalle conseguenze negative che verrebbero a ripercuotersi in primo luogo sulla persona della madre” e che, “in questa prospettiva, non è il diritto in sè della madre all’anonimato che viene garantito ma la scelta che le ha consentito di portare a termine la gravidanza e partorire senza assumere le conseguenze sociali e giuridiche di tale scelta”.
Secondo la Corte, dunque, solo la madre “può essere la persona legittimata a decidere se revocare la sua decisione di rimanere anonima in relazione al venir meno di quell’esigenza di protezione che le ha consentito la scelta tutelata dall’ordinamento”.
Ebbene, con riferimento all’ipotesi della morte della madre, la Cassazione osservava come apparisse infondata la “affermazione per cui la morte della madre non può essere eletta a circostanza presuntiva della volontà di rimozione del segreto post mortem”.
Secondo la Cassazione, infatti, andava ribadito che “nella ricostruzione della Corte Costituzionale, ciò che è rilevante e decisivo è la reversibilità del segreto, condizione che, purtroppo, la morte non rende più attuale e ipotizzabile nel futuro”.
Concludendo diversamente, peraltro, verrebbe a realizzarsi un “affievolimento”, se non la totale scomparsa, “di quelle ragioni di protezione, risalenti alla scelta di partorire in anonimo, che l’ordinamento ha ritenuto meritevoli di tutela per tutto il corso della vita della madre proprio in ragione della revocabilità di tale scelta”.
In sostanza, escludere che, dopo la morte della madre biologica, il figlio perda definitivamente il diritto di accedere ai dati della medesima, “provocherebbe (…), la definitiva perdita del diritto fondamentale del figlio a conoscere le proprie origini - e ad accedere alla propria storia parentale - diritto che costituisce un elemento significativo nel sistema costituzionale di tutela della persona perché "il relativo bisogno di conoscenza rappresenta uno di quegli aspetti della personalità che possono condizionare l’intimo atteggiamento e la stessa vita di relazione di una persona".
Alla luce di tali considerazioni, la Corte di Cassazione accoglieva il ricorso, autorizzando la ricorrente ad accedere alle informazioni relative all’identità della propria madre biologica.