Nel caso esaminato dal Tribunale, due genitori avevano agito in giudizio nei confronti dell’ASL di Palermo, chiedendo la condanna della stessa al risarcimento dei danni, a titolo di responsabilità sanitaria.
Evidenziavano i genitori, in particolare, che, dopo essere stata ricoverata e aver subito un taglio cesareo, la madre aveva dato alla luce un bimbo, il quale, tuttavia, era stato immediatamente ricoverato per “asfissia intrapartum”.
A causa di tale asfissia, peraltro, il bimbo rimaneva tetraplegico, riportando danni permanenti al 100%.
I genitori, dunque, avevano agito in giudizio nei confronti della struttura sanitaria, ritenendo i medici gravemente responsabili, in quanto gli stessi non avevano colto per tempo la gravità delle condizioni del feto, ritardando il parto.
Il Tribunale riteneva, in effetti, di dover accogliere le pretese risarcitorie dei genitori, evidenziando che la struttura sanitaria non aveva dimostrato che i vari controlli della partoriente, nel periodo compreso tra il ricovero e il taglio cesareo, erano stati eseguiti regolarmente.
Osservava il Tribunale, inoltre, che, nel caso di specie, le gravissime lesioni riportate dal neonato non risultavano essere state determinate da cause genetiche o da altre cause naturali.
Gli stessi consulenti tecnici, sentiti in corso di causa, infatti, avevano concluso nel senso della sussistenza di un nesso di causalità tra la condotta dei medici e della struttura sanitaria e le condizioni del neonato, “per negligente omissione da parte dei predetti sanitari dei dovuti controlli clinico-strumentali per il monitoraggio delle condizioni del feto e della madre durante la degenza e sino al taglio cesareo”.
Secondo il Tribunale, dunque, “un corretto e periodico monitoraggio” avrebbe evitato o, almeno, consentito di sospettare l’insorgenza dell’asfissia, “con tempestiva esecuzione dell'intervento di taglio cesareo”.
Di conseguenza, il Tribunale dichiarava la responsabilità della struttura sanitaria convenuta in giudizio, che non aveva dimostrato l’esatta esecuzione delle prestazioni alle quali la stessa era tenuta.
Alla luce di tali considerazioni, il Tribunale condannava la struttura sanitaria al risarcimento dei danni non patrimoniali (art. 2059 c.c.) subiti dai genitori del neonato, che venivano quantificati in quasi due milioni di Euro.