La Corte di Cassazione, V sezione penale, con la sentenza n. 18396 del 4 aprile 2022 (depositata in data 9 maggio 2022), ha dato risoluzione ad uno dei casi di cronaca giudiziaria più rielevanti degli ultimi anni, riguardante il giovane Stefano Cucchi, ucciso in cella dalle percosse degli addetti alla vigilanza carceraria.
In particolare, nel caso, di specie, la Corte di Cassazione escludeva l’interruzione del nesso causale tra la condotta degli agenti e l’evento morte, stante le omissioni del personale sanitario circa le cure sottoposte al giovane Cucchi leso: gli agenti carcerari, autori delle lesioni, rispondevano, così, di omicidio preterintenzionale, ex art. 584 del c.p.. Il comportamento omissivo del personale sanitario non rilevava, pertanto, quale concausa sopravvenuta idonea, ex se, a cagionare l’evento morte (ex art. 41 del c.p., comma 2), ossia ad interrompere il nesso causale originario tra condotta degli addetti carcerari e l’evento morte da questi non voluto.
Al fine di comprendere pienamente la decisione in esame, occorre una breve premessa in materia di concause sopravvenute.
Il codice penale vigente, all’interno dell’articolo 41 comma 2, prevede che “Le cause sopravvenute escludono il rapporto di causalità quando sono state da sole sufficienti a determinare l'evento. In tal caso, se l'azione od omissione precedentemente commessa costituisce per se' un reato, si applica la pena per questo stabilita”. A differenza delle concause di natura concomitante o pregressa alla condotta del soggetto agente (le quali, secondo la dottrina e giurisprudenza maggioritaria rilevano unicamente sul piano della colpevolezza), le cause sopravvenute sono, ex lege, idonee ad elidere il nesso causale tra condotta ed evento qualora generino uno sviluppo atipico ed abnorme della serie causale (Cass. pen., sez. V, 19 ottobre 2021, n. 45241).
Sulla scia di questa premessa ermeneutica, nel caso di specie ci si chiedeva (alla luce della teoria avallata dalla difesa in giudizio) se la condotta omissiva dei medici circa la prestazione delle cure sanitarie (da intendersi quale prolungata carenza di alimentazione e di idratazione) potesse considerarsi, o meno, concausa sopravvenuta sufficiente ad elidere il rapporto causale tra la condotta di lesioni e percosse degli agenti penitenziari e l’evento morte non voluto (a titolo di omicidio preterintenzionale).
Nella fattispecie in esame, la Corte di Cassazione da una risposta negativa, non rinvenendo nelle omissioni del personale sanitario concause sufficienti ed autonome a determinare l’evento morte. Difatti, pur avallando la teoria dell’imputazione obiettiva dell’evento in materia di concause sopravvenute, secondo il Supremo Consesso non era possibile ritenersi eliso il nesso causale, essendo che la condotta del personale sanitario non aveva creato un rischio eccentrico, abnorme, e non oggettivamente prevedibile al momento del perfezionamento della condotta di lesioni da parte dei soggetti agenti (Cass. pen., sez. IV, 25 febbraio 2020, n. 22691).
In particolare, secondo la Suprema Corte di Cassazione “il collegamento causale tra l’azione lesiva imputata e l’evento che ne è derivato non è interrotto dalla intermedia omissione della condotta che sarebbe stata in ipotesi idonea ad evitare la produzione dell’evento medesimo, qualora questa non costituisca un fatto imprevedibile ovvero uno sviluppo assolutamente atipico della serie causale. Tale omissione, ricorrendone le condizioni, può infatti costituire eventualmente il titolo per l’affermazione della concorrente responsabilità del soggetto inadempiente, mentre, nella fattispecie, le omissioni eventualmente imputabili al personale sanitario (e comunque solo genericamente evocate dal ricorrente), come il lamentato rifiuto della vittima di alimentarsi correttamente, non sono stati ritenuti sviluppi imprevedibili o atipici del decorso causale”.
Così che, il comportamento omissivo del personale sanitario può rilevare quale titolo autonomo di responsabilità colposa, ricorrendone le condizioni di fatto e di diritto.
In tale sede, il Supremo Consesso effettua anche precisazioni dogmatiche in tema di omicidio preterintenzionale, nonché circa il concorso di persone nel delitto di cui all’art. 584 del codice penale.
Quanto all’omicidio preterintenzionale, la Corte precisa che: “l’oramai consolidato orientamento di questa Corte per cui l’elemento soggettivo del delitto di omicidio preterintenzionale non è costituito da dolo e responsabilità oggettiva, né dal dolo misto a colpa, ma unicamente dal dolo di percosse o lesioni, in quanto la disposizione di cui all’art. 43 c.p. assorbe la prevedibilità di evento più grave nell’intenzione di risultato. Pertanto, la valutazione relativa alla prevedibilità dell’evento da cui dipende l’esistenza del delitto in questione è nella stessa previsione legislativa, essendo assolutamente probabile che da una azione violenta contro una persona possa derivare la morte della stessa”.
Con riguardo, invece, al concorso di persone nel reato de quo (in relazione alla partecipazione dei plurimi agenti nella condotta di lesioni e percosse), la Corte di Cassazione, sulla scia della pregressa giurisprudenza di legittimità (Cass. pen., sez. V, 30 ottobre 2013, n. 12413), ci insegna che: “la volontà di concorrere non presuppone necessariamente un previo accordo o, comunque, la reciproca consapevolezza del concorso altrui, essendo sufficiente che la coscienza del contributo fornito all’altrui condotta esista unilateralmente, con la conseguenza che essa può indifferentemente manifestarsi o come previo concerto o come intesa istantanea ovvero come semplice adesione all’opera di un altro che rimane ignaro. Non solo, come ripetutamente evidenziato da questa Corte, è configurabile il concorso di persone nell’omicidio preterintenzionale quando vi è la partecipazione materiale o morale di più soggetti attivi nell’attività diretta a percuotere o ledere una persona senza la volontà di ucciderla e vi sia un evidente rapporto di causalità tra tale attività e l’evento mortale”.
In particolare, nel caso, di specie, la Corte di Cassazione escludeva l’interruzione del nesso causale tra la condotta degli agenti e l’evento morte, stante le omissioni del personale sanitario circa le cure sottoposte al giovane Cucchi leso: gli agenti carcerari, autori delle lesioni, rispondevano, così, di omicidio preterintenzionale, ex art. 584 del c.p.. Il comportamento omissivo del personale sanitario non rilevava, pertanto, quale concausa sopravvenuta idonea, ex se, a cagionare l’evento morte (ex art. 41 del c.p., comma 2), ossia ad interrompere il nesso causale originario tra condotta degli addetti carcerari e l’evento morte da questi non voluto.
Al fine di comprendere pienamente la decisione in esame, occorre una breve premessa in materia di concause sopravvenute.
Il codice penale vigente, all’interno dell’articolo 41 comma 2, prevede che “Le cause sopravvenute escludono il rapporto di causalità quando sono state da sole sufficienti a determinare l'evento. In tal caso, se l'azione od omissione precedentemente commessa costituisce per se' un reato, si applica la pena per questo stabilita”. A differenza delle concause di natura concomitante o pregressa alla condotta del soggetto agente (le quali, secondo la dottrina e giurisprudenza maggioritaria rilevano unicamente sul piano della colpevolezza), le cause sopravvenute sono, ex lege, idonee ad elidere il nesso causale tra condotta ed evento qualora generino uno sviluppo atipico ed abnorme della serie causale (Cass. pen., sez. V, 19 ottobre 2021, n. 45241).
Sulla scia di questa premessa ermeneutica, nel caso di specie ci si chiedeva (alla luce della teoria avallata dalla difesa in giudizio) se la condotta omissiva dei medici circa la prestazione delle cure sanitarie (da intendersi quale prolungata carenza di alimentazione e di idratazione) potesse considerarsi, o meno, concausa sopravvenuta sufficiente ad elidere il rapporto causale tra la condotta di lesioni e percosse degli agenti penitenziari e l’evento morte non voluto (a titolo di omicidio preterintenzionale).
Nella fattispecie in esame, la Corte di Cassazione da una risposta negativa, non rinvenendo nelle omissioni del personale sanitario concause sufficienti ed autonome a determinare l’evento morte. Difatti, pur avallando la teoria dell’imputazione obiettiva dell’evento in materia di concause sopravvenute, secondo il Supremo Consesso non era possibile ritenersi eliso il nesso causale, essendo che la condotta del personale sanitario non aveva creato un rischio eccentrico, abnorme, e non oggettivamente prevedibile al momento del perfezionamento della condotta di lesioni da parte dei soggetti agenti (Cass. pen., sez. IV, 25 febbraio 2020, n. 22691).
In particolare, secondo la Suprema Corte di Cassazione “il collegamento causale tra l’azione lesiva imputata e l’evento che ne è derivato non è interrotto dalla intermedia omissione della condotta che sarebbe stata in ipotesi idonea ad evitare la produzione dell’evento medesimo, qualora questa non costituisca un fatto imprevedibile ovvero uno sviluppo assolutamente atipico della serie causale. Tale omissione, ricorrendone le condizioni, può infatti costituire eventualmente il titolo per l’affermazione della concorrente responsabilità del soggetto inadempiente, mentre, nella fattispecie, le omissioni eventualmente imputabili al personale sanitario (e comunque solo genericamente evocate dal ricorrente), come il lamentato rifiuto della vittima di alimentarsi correttamente, non sono stati ritenuti sviluppi imprevedibili o atipici del decorso causale”.
Così che, il comportamento omissivo del personale sanitario può rilevare quale titolo autonomo di responsabilità colposa, ricorrendone le condizioni di fatto e di diritto.
In tale sede, il Supremo Consesso effettua anche precisazioni dogmatiche in tema di omicidio preterintenzionale, nonché circa il concorso di persone nel delitto di cui all’art. 584 del codice penale.
Quanto all’omicidio preterintenzionale, la Corte precisa che: “l’oramai consolidato orientamento di questa Corte per cui l’elemento soggettivo del delitto di omicidio preterintenzionale non è costituito da dolo e responsabilità oggettiva, né dal dolo misto a colpa, ma unicamente dal dolo di percosse o lesioni, in quanto la disposizione di cui all’art. 43 c.p. assorbe la prevedibilità di evento più grave nell’intenzione di risultato. Pertanto, la valutazione relativa alla prevedibilità dell’evento da cui dipende l’esistenza del delitto in questione è nella stessa previsione legislativa, essendo assolutamente probabile che da una azione violenta contro una persona possa derivare la morte della stessa”.
Con riguardo, invece, al concorso di persone nel reato de quo (in relazione alla partecipazione dei plurimi agenti nella condotta di lesioni e percosse), la Corte di Cassazione, sulla scia della pregressa giurisprudenza di legittimità (Cass. pen., sez. V, 30 ottobre 2013, n. 12413), ci insegna che: “la volontà di concorrere non presuppone necessariamente un previo accordo o, comunque, la reciproca consapevolezza del concorso altrui, essendo sufficiente che la coscienza del contributo fornito all’altrui condotta esista unilateralmente, con la conseguenza che essa può indifferentemente manifestarsi o come previo concerto o come intesa istantanea ovvero come semplice adesione all’opera di un altro che rimane ignaro. Non solo, come ripetutamente evidenziato da questa Corte, è configurabile il concorso di persone nell’omicidio preterintenzionale quando vi è la partecipazione materiale o morale di più soggetti attivi nell’attività diretta a percuotere o ledere una persona senza la volontà di ucciderla e vi sia un evidente rapporto di causalità tra tale attività e l’evento mortale”.