Vediamo cosa ha detto in tempi recenti la Cassazione.
Facciamo una brevissima premessa.
In generale, la legge punisce l'attività di coltivazione di sostanze stupefacenti all’interno dell’art. 73 del T.U. stupefacenti.
Con una famosa sentenza, però, la n. 12348 del 2019, la Corte di Cassazione aveva escluso il reato se la coltivazione, per le sue caratteristiche, poteva essere considerata ad uso personale.
Nel caso di cui ci occupiamo oggi, deciso dalla Cassazione con sentenza n. 11901/2023, si trattava di una sola pianta di marijuana di grandi dimensioni (circa 1,60 metri), coltivata da un uomo nel cortile della propria abitazione.
L'imputato, nello specifico, era stato condannato dal Tribunale per il reato di coltivazione di sostanza stupefacente; la condanna era stata confermata in appello, anche se era stata riconosciuta la lieve entità del fatto prevista dal comma 5 dell'art. 73 T.U. Stupefacenti.
L'uomo proponeva, allora, ricorso per Cassazione.
Secondo la sua tesi difensiva, la sua coltivazione era destinata all’autoconsumo, e non allo spaccio.
Ciò, secondo l'imputato, si evinceva dal fatto che la coltivazione era stata effettuata presso il proprio cortile domestico, senza l’uso di particolari tecniche o strumenti.
La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso del "coltivatore".
Secondo la Suprema Corte, infatti, non vi erano elementi che potessero far pensare che la coltivazione della pianta da parte dell'imputato fosse destinata al mercato dello spaccio.
Al contrario, sottolineava la Cassazione, appariva "oggettiva" la destinazione all'uso personale.
L'attività di coltivazione era piuttosto rudimentale e consisteva nella semplice messa a dimora della pianta, che peraltro era una sola.
Anche la quantità di principio attivo ricavata non era sufficiente per far pensare a una coltivazione destinata allo spaccio.
In particolare, il criterio utilizzato dalla Suprema Corte è quello della potenziale produttività della coltivazione: se la produttività della coltivazione è "modestissima", la coltivazione stessa deve considerarsi consentita.
La Corte ha dunque annullato senza rinvio la condanna dell'uomo.