Le verifiche fiscali “orientate a provare, anche per presunzioni, una condotta evasiva del contribuente possono legittimamente allargarsi ai conti bancari intestati al coniuge, al convivente o ad altri familiari del soggetto destinatario dell'accertamento”.
Il principio è stabilito dalla Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 13761/2025, che segna un'importante evoluzione nella lotta all’evasione fiscale. Finora l’attività di indagine era focalizzata sui dati del contribuente stesso, ma con questa sentenza la Cassazione amplia il perimetro del controllo, permettendo l’analisi di patrimoni e conti intestati a persone vicine – coniugi, figli, conviventi – se si sospetta che siano usati per nascondere redditi o beni.
Sotto il profilo normativo, i poteri di accertamento dell’Amministrazione finanziaria si fondano sull’art.32, comma 1, n. 2 del D.P.R. 600/1973, che disciplina le modalità di verifica delle imposte sui redditi. In base a questa disposizione, ogni movimento bancario in entrata o in uscita si presume fiscalmente rilevante, salvo che il contribuente non riesca a dimostrare, in modo dettagliato e documentato, l’irrilevanza fiscale di tali operazioni o il loro già avvenuto inserimento nella dichiarazione dei redditi.
Questa norma comporta, di fatto, un’inversione dell’onere della prova: spetta al contribuente fornire prove analitiche, circostanziate e supportate da documentazione, per giustificare le movimentazioni rilevate dal Fisco e dimostrare che non si tratta di compensi, ricavi o redditi non dichiarati.
A supporto di questa attività ispettiva, l’Agenzia delle Entrate può contare sull’Anagrafe dei rapporti finanziari, un vasto database digitale che raccoglie dati aggiornati su conti correnti, carte prepagate, investimenti, depositi e altri strumenti finanziari intestati ai contribuenti. Questo sistema consente di incrociare in modo preciso le informazioni bancarie con le dichiarazioni fiscali, facilitando l’individuazione di eventuali irregolarità o discrepanze.
Adesso la decisione della Cassazione introduce un principio chiave: chi condivide la sfera economica o familiare con un soggetto sotto indagine può essere coinvolto, se esistono elementi oggettivi che giustifichino l’estensione dei controlli. È una misura che rafforza gli strumenti contro l’evasione, ma che - al contempo - impone maggiore attenzione a chi gestisce in comune beni, conti o spese.
La pronuncia del Supremo Collegio è molto utile per la generalità dei contribuenti, in quanto evidenzia anche alcuni elementi "spia" insiti nei movimenti bancari di un conto corrente terzo che, valutati nel loro complesso, ricondurrebbero proprio al contribuente principale:
Il principio è stabilito dalla Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 13761/2025, che segna un'importante evoluzione nella lotta all’evasione fiscale. Finora l’attività di indagine era focalizzata sui dati del contribuente stesso, ma con questa sentenza la Cassazione amplia il perimetro del controllo, permettendo l’analisi di patrimoni e conti intestati a persone vicine – coniugi, figli, conviventi – se si sospetta che siano usati per nascondere redditi o beni.
Sotto il profilo normativo, i poteri di accertamento dell’Amministrazione finanziaria si fondano sull’art.32, comma 1, n. 2 del D.P.R. 600/1973, che disciplina le modalità di verifica delle imposte sui redditi. In base a questa disposizione, ogni movimento bancario in entrata o in uscita si presume fiscalmente rilevante, salvo che il contribuente non riesca a dimostrare, in modo dettagliato e documentato, l’irrilevanza fiscale di tali operazioni o il loro già avvenuto inserimento nella dichiarazione dei redditi.
Questa norma comporta, di fatto, un’inversione dell’onere della prova: spetta al contribuente fornire prove analitiche, circostanziate e supportate da documentazione, per giustificare le movimentazioni rilevate dal Fisco e dimostrare che non si tratta di compensi, ricavi o redditi non dichiarati.
A supporto di questa attività ispettiva, l’Agenzia delle Entrate può contare sull’Anagrafe dei rapporti finanziari, un vasto database digitale che raccoglie dati aggiornati su conti correnti, carte prepagate, investimenti, depositi e altri strumenti finanziari intestati ai contribuenti. Questo sistema consente di incrociare in modo preciso le informazioni bancarie con le dichiarazioni fiscali, facilitando l’individuazione di eventuali irregolarità o discrepanze.
Adesso la decisione della Cassazione introduce un principio chiave: chi condivide la sfera economica o familiare con un soggetto sotto indagine può essere coinvolto, se esistono elementi oggettivi che giustifichino l’estensione dei controlli. È una misura che rafforza gli strumenti contro l’evasione, ma che - al contempo - impone maggiore attenzione a chi gestisce in comune beni, conti o spese.
La pronuncia del Supremo Collegio è molto utile per la generalità dei contribuenti, in quanto evidenzia anche alcuni elementi "spia" insiti nei movimenti bancari di un conto corrente terzo che, valutati nel loro complesso, ricondurrebbero proprio al contribuente principale:
- l'ingiustificata capacità reddituale dei prossimi congiunti nel periodo d'imposta di riferimento;
- lo svolgimento di un'attività economica compatibile con la produzione di maggiore redditività che si presume essere "spostata" sui conti dei congiunti;
- l'infedeltà delle dichiarazioni dei redditi del contribuente principale (suggerita da pesanti indizi di evasione come, ad esempio, l'omissione di ricavi);
- l'acclarata relazione di stretta familiarità o convivenza tra i contribuenti oggetto di verifiche.
Nell'individuazione di questi elementi "spia" la Cassazione ha richiamato, peraltro, una corposa giurisprudenza a riguardo (ad es. Cass. 549/2020 e Cass. 26173/2011).