(massima n. 1)
Affinché ricorra la responsabilità della P.A. per un fatto lesivo posto in essere dal proprio dipendente — responsabilità il cui fondamento risiede nel rapporto di immedesimazione organica — deve sussistere, oltre al nesso di causalità fra il comportamento e l'evento dannoso, anche la riferibilità all'amministrazione del comportamento stesso, la quale presuppone che l'attività posta in essere dal dipendente sia e si manifesti come esplicazione dell'attività dell'ente pubblico, e cioè tenda, pur se con abuso di potere, al conseguimento dei fini istituzionali di questo nell'ambito delle attribuzioni dell'ufficio o del servizio cui il dipendente è addetto. Tale riferibilità viene meno, invece, quando il dipendente agisca come un semplice privato per un fine strettamente personale ed egoistico che si riveli assolutamente estraneo all'amministrazione — o addirittura contrario ai fini che essa persegue — ed escluda ogni collegamento con le attribuzioni proprie dell'agente, atteso che in tale ipotesi cessa il rapporto organico fra l'attività del dipendente e la P.A. (Nella specie, il giudice di merito aveva condannato la P.A. ritenendo riconducibile alle finalità istituzionali della stessa il comportamento di un vigile urbano che, intervenuto per fermare alcuni giovani che stavano scavalcando il muro di cinta di uno stadio, aveva percosso uno di essi con schiaffi e calci e poi lo aveva ucciso con un colpo di pistola; la S.C. ha cassato la sentenza impugnata poiché il giudice di merito non aveva accertato se il vigile, la cui condotta nella fase iniziale era connessa all'espletamento del compito istituzionale di controllo sull'ordine pubblico, avesse successivamente agito, come dimostrato dalle parole rivolte nei suoi confronti: «se non te le ho date ieri te le do ora» per un fine strettamente personale ed egoistico assolutamente estraneo alle attività della P.A., così dando sfogo al risentimento provocato da un diverbio con quel giovane avvenuto il giorno precedente).