(massima n. 2)
Per individuare la portata di una clausola di un contratto di assicurazione della responsabilità civile, la quale escluda dalla copertura assicurativa la responsabilità per danni nei confronti di determinate persone, che le parti hanno convenuto di non considerare terzi (quali il coniuge, i genitori, i figli, i fratelli e le sorelle, i parenti conviventi dell'assicurato), occorre stabilire se con quell'esclusione i contraenti abbiano inteso riferire i danni, conseguenti al sinistro; alla posizione soggettiva di tali persone ovvero rapportarli al sinistro come conseguenza di questo, indipendentemente dalla titolarità del diritto al risarcimento. Nel primo caso, poiché il rischio escluso riguarda la responsabilità per i soli danni riportati dalla persona nei cui diretti confronti si è verificato il sinistro, l'esclusione della copertura assicurativa deve ritenersi limitata a detti danni, propri di tale persona, senza poterla, perciò, estendere alle conseguenze dannose verificatesi nei confronti di soggetti diversi in dipendenza del fatto illecito commesso ai danni delle suddette persone. Nel secondo caso, invece, poiché il rischio escluso comprende obiettivamente tutti i danni che siano conseguenza di lesioni sofferte da persona convenzionalmente non considerata terzo, deve ritenersi che la esclusione riguardi la responsabilità per tali danni nei confronti di chiunque li abbia subiti, anche se persona diversa da quella suddetta. (La Corte suprema ha cassato per insufficiente motivazione la sentenza di appello la quale aveva ritenuto che, nel caso di morte di una delle persone indicate nella clausola di esclusione del rischio, la clausola stessa non potesse riguardare anche il coniuge e i figli della vittima, danneggiati per effetto del decesso del loro congiunto, in quanto non compresi nell'elencazione dei casi di esclusione e perché i terzi esclusi andrebbero individuati come soggetti del diritto e non come oggetto del fatto colposo dell'assicurato).