(massima n. 1)
Nel nostro ordinamento l'attività bancaria nel suo complesso, quale comprensiva dell'esercizio del credito e della raccolta di risparmio (vedi in particolare il decreto legislativo n. 385/93) risulta disciplinata in modo tale da configurare non solo una delle tante forme di esercizio di impresa, già di per sé sottoposto a particolari forme di controllo, ma soprattutto, proprio in quanto riservata in via esclusiva agli istituti di credito ed in conformità al dato della tutela costituzionale del risparmio di cui all'art. 47 della Costituzione predisposta in favore della collettività, un «servizio» per il pubblico con tipiche forme di autorizzazione, di vigilanza e di «trasparenza». Da ciò deriva che i profili di responsabilità nell'espletamento di tale attività vanno individuati e, ove sussistenti, sanzionati in conformità all'elevato grado di professionalità richiesto. Se pertanto un istituto di credito rilascia un libretto al portatore privo di fondi (attività che, sia alla luce del complesso dei principi normativi di cui agli artt. 1834 e ss. c.c., sia a quella della clausola generale in tema di responsabilità di cui all'art. 1176 c.c., si configura già di per sé quale fonte di responsabilità) non può assolutamente limitarsi a definirlo inesistente (tanto più ove si presenti tale non per fatti meramente casuali, ma per diretta conseguenza del negligente comportamento dei suoi funzionari), ma deve apprestare tutte le misure (sequestro del libretto, pubblicizzazione del fatto, etc.) atte ad evitare la circolazione di un titolo emesso in mancanza dei previsti requisiti, ove ciò non avvenga, è evidente il sorgere di responsabilità (ex art. 2043 c.c.) nei confronti di coloro che, «terzi» rispetto all'originario rapporto richiedente-banca, subiscono i danni derivanti dalla circolazione di un titolo solo formalmente valido ma in realtà attestante un credito non esigibile.