(massima n. 1)
Per individuare il campo di applicazione del secondo comma dell'art. 2 c.p. non ci si può limitare a considerare se il fatto, punito in base alla legge anteriore, sia punito, o meno, anche in base a quella posteriore. Perciò non può escludersi che un fatto, divenuto non punibile per la legge extrapenale posteriore, rimanga punibile per la legge anteriore, vigente al momento della sua commissione. L'indagine sugli effetti penali della successione di leggi extrapenali va condotta facendo riferimento alla fattispecie astratta e non al fatto concreto: non basta riconoscere che attualmente il fatto commesso dall'imputato non costituirebbe più reato, ma occorre prendere in esame la fattispecie e stabilire se la norma extrapenale modificata svolga, in collegamento con la disposizione incriminatrice, un ruolo tale da far ritenere che, pur essendo questa rimasta letteralmente immutata, la fattispecie risultante dai collegamento tra la norma penale e quella extrapenale sia cambiata e in parte non sia più prevista come reato. In questo caso, ci si trova in presenza di un'abolitio criminis parziale, analoga a quella che si verifica quando è la stessa disposizione penale ad essere modificata con l'esclusione di una porzione di fattispecie che prima ne faceva parte. In tale prospettiva, la modificazione della norma extrapenale richiamata dalla disposizione incriminatrice esclude la punibilità del fatto precedentemente commesso solo se tale norma è integratrice di quella penale oppure ha essa stessa efficacia retroattiva.