(massima n. 1)
Il maggior danno che il locatore assuma di aver subito per effetto della morosità del conduttore e del mancato, tempestivo rilascio dell'immobile locato (art. 1591 c.c.), scaturendo da una fonte di responsabilità ex contractu, va rigorosamente provato, nella sua sussistenza e nel suo concreto ammontare, dal locatore medesimo, sul presupposto che l'obbligo risarcitorio non sorge automaticamente, sulla base del valore locativo presumibilmente ricavabile dalla astratta configurabilità della ipotesi di locazione o vendita del bene, ma va accertato in relazione alle concrete condizioni e caratteristiche dell'immobile stesso, alla sua ubicazione, alla sua possibilità di utilizzazione, onde far emergere il verificarsi di una lesione effettiva, nel patrimonio del locatore, ravvisabile nella circostanza del non averlo potuto locare o alienare a condizioni vantaggiose, e dimostrabile attraverso la prova dell'esistenza di ben precise proposte di locazione o di acquisto, ovvero di altri, concreti propositi di utilizzazione. (Nella specie, la S.C., enunciando il suesposto principio di diritto, ha cassato la decisione del giudice di merito, che aveva fondato il convincimento della esistenza del danno sugli elementi di fatto della sicura — ma astratta — utilizzabilità dell'immobile a fini locativi e sulla valutazione del relativo canone da parte dell'UTE, ritenendo ciascuno di tali elementi inidonei perché, rispettivamente, non attinente alla concreta sorte dell'immobile de quo, e perché non dotato di valenza probatoria esaustiva, quanto al concreto verificarsi del pregiudizio, in mancanza di specifiche proposte di locazione a canone più elevato).