(massima n. 1)
Il deputato Andrea Cecconi ha sollevato conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato in riferimento alla decisione del Presidente della Camera di deputati, comunicata con lettera del 10 gennaio 2020, di non ammettere il progetto di legge A.C. n. 1781 presentato dallo stesso ricorrente (cofirmatario l’onorevole Antonio Tasso), recante «Modifiche al testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 marzo 1957, n. 361, in materia di elezione della Camera dei deputati, e al testo unico di cui al decreto legislativo 20 dicembre 1993, n. 533, in materia di elezione del Senato della Repubblica, nonché norme concernenti la determinazione e la revisione dei collegi uninominali»;Con tale decisione, a parere del ricorrente, il Presidente della Camera dei deputati avrebbe impedito la presentazione in aula del progetto di legge, «da ritenersi compiuta solo con la pubblicazione e la distribuzione» di quest’ultimo, così menomando le attribuzioni dell’iniziativa legislativa, che la Costituzione riconosce a ciascun parlamentare (art. 71, primo comma, Cost.), di discussione e di voto dei progetti di legge (art. 72 Cost.) e, in generale, «il libero e pieno esercizio del mandato parlamentare» (art. 67 Cost.).
In questa prima fase del giudizio, la Corte è stata chiamata a deliberare, in camera di consiglio e senza contraddittorio, sulla sussistenza dei requisiti soggettivo e oggettivo prescritti dall’art. 37, primo e terzo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), ossia a decidere se il conflitto insorga tra organi competenti a dichiarare definitivamente la volontà del potere cui appartengono e per la delimitazione della sfera di attribuzioni determinata per i vari poteri da norme costituzionali;
Tale legittimazione deve fondarsi sull’allegazione di vizi che determinano violazioni manifeste delle prerogative costituzionali dei parlamentari e, attraverso l’espletamento di tale onere, e, ai fini dell’ammissibilità del conflitto, le asserite violazioni devono essere rilevabili nella loro evidenza già in sede di sommaria delibazione.
Ora, il potere di iniziativa legislativa del singolo parlamentare è espressamente riconosciuto dall’art. 71, primo comma, Cost.; tuttavia, il testo costituzionale disciplina solo in parte (art. 72 Cost.) le modalità mediante le quali deve estrinsecarsi tale potere e gli effetti prodotti dal suo esercizio, e infatti gli effetti della presentazione alle Camere del progetto di legge sono disciplinati dai regolamenti parlamentari e dalle relative prassi applicative. Fra tali effetti rientra anche l’attivazione dei poteri di controllo del Presidente della Camera dei deputati sull’ammissibilità dei progetti di legge, che rilevano nel caso di specie: il sindacato di ammissibilità degli atti di iniziativa legislativa si inquadra negli strumenti presidenziali volti a garantire la regolarità del procedimento legislativo, e gli atti e i procedimenti relativi all’esercizio delle funzioni delle Camere sono coperti dall’autonomia costituzionale a queste riconosciuta, in particolare dagli artt. 64 e 72 Cost..
Tale autonomia si esplica non solo mediante l’adozione del proprio Regolamento, ma altresì mediante l’interpretazione e l’applicazione delle disposizioni regolamentari.
In forza del richiamato principio di autonomia delle Camere, l’estensione del potere presidenziale e le concrete modalità del suo esercizio possono essere oggetto di valutazione ad opera della Corte solo in presenza di manifesta menomazione delle attribuzioni costituzionali del parlamentare, mentre nel caso di specie dalla prospettazione del ricorrente non emerge che la valutazione di inammissibilità del progetto di legge, accompagnata dall’esposizione dei relativi motivi, abbia prodotto, di per sé, l’evidente menomazione del potere di iniziativa legislativa;
che in conclusione non è prospettato un vulnus grave e manifesto della prerogativa parlamentare di cui all’art. 71, primo comma, Cost. e, di conseguenza, neppure della prerogativa della discussione e del voto in assemblea (art. 72 Cost.) e, in generale, del libero esercizio del mandato parlamentare, avendo il ricorrente fatto espressamente derivare la violazione di queste ultime dalla denunciata violazione della prima.
Il ricorso viene dunque dichiarato inammissibile.