(massima n. 1)
La sentenza della Corte costituzionale 177/2021 consegue ad un ricorso in via principale avverso la L.R. Toscana n. 82/2020, in tema di economia circolare e installazione di impianti fotovoltaici.In particolare, l’impugnazione dello Stato riguardava l’art. 2, commi 1, 2 e 3, della legge della Regione Toscana 7 giugno 2020, n. 82 (Disposizioni relative alle linee guida regionali in materia di economia circolare e all’installazione degli impianti fotovoltaici a terra. “Modifiche alla l.r. 34/2020 e alla l.r. 11/2011), in riferimento all’art. 117, terzo comma, della Costituzione, relativamente all’art. 12 del decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387 (Attuazione della direttiva 2001/77/CE relativa alla promozione dell’energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel mercato interno dell’elettricità), nonché al decreto del Ministro dello sviluppo economico 10 settembre 2010 (Linee guida per l’autorizzazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili)”.
Nella sostanza tale normativa e - segnatamente - l’art. 2, comma 1, della legge indubbiata modificava l’art. 9 della legge regionale Toscana 21 marzo 2011, n. 11, recante «Disposizioni in materia di installazione di impianti di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili di energia. Modifiche alla legge regionale 24 febbraio 2005, n. 39 (Disposizioni in materia di energia) e alla legge regionale 3 gennaio 2005, n. 1 (Norme per il governo del territorio)», mediante l’introduzione di un nuovo comma 1-bis, che prevedeva quanto segue: «[f]atte salve le aree individuate all’articolo 5, nelle aree rurali come definite dall’articolo 64 della legge regionale 10 novembre 2014, n. 65 (Norme per il governo del territorio) e identificate negli strumenti della pianificazione territoriale e negli altri atti di governo del territorio di cui alla stessa L.R. 65/2014, è ammessa la realizzazione di impianti fotovoltaici a terra fino alla potenza massima, per ciascun impianto, di 8.000 chilowatt elettrici».
L’effetto della norma era quello di introdurre - per le aree rurali - un limite di potenza massimo, superiore a quello definito per legge, e, dunque, il divieto di realizzare in dette zone impianti fotovoltaici di potenza superiore agli 8.000 chilowatt elettrici.
Nello spazio della competenza concorrente “produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia”, la legge regionale in discorso si è posta, in effetti, in contrasto con l’art.12 d.lgs. n.387/2003, attuativo della direttiva 2001/77CE in materia, e con le Linee Guida per l’autorizzazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili (decreto del Ministro dello Sviluppo economico 10 settembre 2010). Il complesso normativo nazionale, al proposito, pur riconoscendo uno spazio di valutazione idoneo a tutelare tutti gli interessi pubblici coinvolti in sede di rilascio dell’autorizzazione unica regionale, non prevede espressamente alcun limite massimo di potenza per gli impianti allocati nelle aree rurali. Peraltro, non è da sottovalutare il fatto che la politica europea di settore si mostra come estremamente favorevole alla diffusione del fotovoltaico, cosa che in astratto contrasta con la previsione di limitazioni non filtrate nel prisma di una valutazione degli interessi pubblici sussistenti nel caso concreto.
Dal punto di vista delle fonti, questo primo profilo di impugnazione consente alla Corte di emarginare la funzione integrativa di norme di principio delle c.d. Linee guida che, provvedono ad esplicitare contenuti tecnici derivanti dalle norme di legge, con l’effetto di poter essere annoverate a pieno titolo tra le norme di provenienza statale (appunto di principio) che le norme regionali non possono contraddire:
Ed, infatti, la Corte proprio rispetto alle Linee guida sottolinea che “in particolare, queste ultime, approvate in sede di conferenza unificata, sono espressione della leale collaborazione tra Stato e Regioni e sono, pertanto, vincolanti, in quanto «costituiscono, in settori squisitamente tecnici, il completamento della normativa primaria» (sentenza n. 86 del 2019). Nell’indicare puntuali modalità attuative della legge statale, le Linee guida hanno «natura inderogabile e devono essere applicate in modo uniforme in tutto il territorio nazionale (sentenze n. 286 e n. 86 del 2019, n. 69 del 2018)» (sentenza n. 106 del 2020)”.
Su questi presupposti la Corte, disattese le controdeduzioni regionali che intendevano il limite degli 8000 chilowatt elettrici non come divieto assoluto ma come specificazione della normativa di principio nazionale, dichiara l’illegittimità dell’art. 2, comma 1, della L.R. Toscana 82/2020. La Corte, in particolare, censura la norma proprio in quanto vincoli assoluti risultano incompatibili con le norme di principio nazionale anche contenute nelle Linee guida, laddove alle regioni è invece concesso di seguire un procedimento legato al caso concreto dei singoli territori che, a seguito di adeguata istruttoria, possono essere considerati addirittura incompatibili con l’istallazione di impianti fotovoltaici al ricorrere della sussistenza di interessi pubblici che comprovino l’inadeguatezza dei siti individuati. In definitiva, si conferma che alla regione non è concesso di imporre un vincolo generale non previsto nella normativa complessiva nazionale, ma è imposta una riserva di procedimento amministrativo per la valutazione degli interessi pubblici coinvolti nel singolo caso.
Per motivi ancora connessi al rapporto tra fonti la Corte annulla, di conseguenza, anche l’art. 2, comma 2, della legge regionale impugnata che, nella sostanza, introduce, ai fini del rilascio dell’autorizzazione unica per gli impianti a terra di potenza superiore a 1.000 chilowatt elettrici l’obbligatorietà di una “previa intesa con il comune o i comuni interessati dall’impianto”. Tale disposizione viene ritenuta dalla Corte contrastante con la fonte nazionale in quanto costituisce un aggravio procedimentale non contemplato nella disciplina di principio. Nell’ottica della semplificazione amministrativa, difatti, l’art. 12, comma 4, del d.lgs. n. 387 del 2003, nonché l’art. 14.1 delle Linee guida, disegnano, per il rilascio della predetta autorizzazione, un procedimento unico che deve essere svolto interamente in sede di conferenza di servizi.
Sistema di principio che, ontologicamente, confligge con la possibilità di aggravare il procedimento con ulteriori prescrizioni quali appunto l’obbligatorietà di accordi/intese espressi al di fuori del procedimento unico riunito nella conferenza di servizi.
In ultimo, la Corte dichiara fondata anche la terza questione esaminata, relativa all’art. 2, comma 3, della legge reg. Toscana n. 82 del 2020, che prevedeva “l’applicabilità delle disposizioni di cui ai commi 1 e 2 del medesimo art. 2 «anche ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore» della legge regionale recante le disposizioni impugnate”.
Senza entrare nel merito della questione dell’efficacia temporale della normativa impugnata, la Corte osserva che la norma in discorso, limitandosi a regolare sul piano temporale gli effetti delle precedenti norme indubbiate, esprime il loro medesimo contenuto precettivo ed è, dunque, affetta dagli stessi vizi di legittimità costituzionale.