(massima n. 1)
La sentenza 179/2021, emessa a seguito di un giudizio in via principale dello Stato nei confronti della Regione Marche, si concentra sul tema dell’organizzazione sanitaria con riferimento alla competenza statale in tema di tutela della salute. La questione ha una discreta rilevanza, poiché affronta il tema della “struttura sanitaria” in un sistema in cui l’organizzazione dei servizi resi al cittadino è estremamente diversificata da territorio a territorio in ragione della distribuzione costituzionale delle competenze stato/regioni. Si delinea perciò una centralità del legislatore regionale che può far parlare di veri e propri modelli di sanità regionali distinti, assai diversificati tra loro, producendo un sistema che presenta, com’è noto, vari pregi e limiti.La questione è divenuta ancor più importante in conseguenza della recente crisi pandemica che ha messo in evidenza – se ancora ve ne fosse bisogno – la necessità di un sistema sanitario che, sebbene differenziato, conservi tratti essenziali comuni, nonché organizzazione e struttura efficienti.
In questo contesto la Corte è chiamata ad esprimersi su un tema centrale, collegato poi non troppo indirettamente con l’efficienza e l’amministrazione di risultato, quello del procedimento di nomina delle figure apicali (direttori di dipartimento delle aziende ospedaliere e dell’azienda unica regionale).
Oggetto degli strali dell’impugnazione statale è l’art. 1 della legge della Regione Marche 9 luglio 2020, n. 30 (Modifica alla legge regionale 20 giugno 2003, n. 13, “Riorganizzazione del Servizio Sanitario regionale”) che, modificando i commi 3 e 4 dell’art. 8 della legge della Regione Marche 20 giugno 2003, n. 13 (Riorganizzazione del Servizio Sanitario regionale), interviene proprio sul procedimento di nomina dei direttori di dipartimento delle aziende ospedaliere e dell’azienda sanitaria unica regionale (ASUR) della Regione Marche, stabilendo che questi debbano essere individuati dal direttore generale tra i dirigenti delle professioni sanitarie delle rispettive aree di competenza.
Disposizione che, preso a parametro l’art.117, comma terzo, Cost., si pone in contrasto, secondo quanto sostenuto dalla difesa statale, con l’art. 17-bis, comma 2, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502 (Riordino della disciplina in materia sanitaria, a norma dell’articolo 1 della legge 23 ottobre 1992, n. 421), che richiede invece che: «[i]l direttore di dipartimento [sia] nominato dal direttore generale fra i dirigenti con incarico di direzione delle strutture complesse aggregate nel dipartimento».
Questa disposizione, evidentemente più restrittiva (ed esigente) rispetto alle qualifiche che devono possedere i soggetti destinati a ricoprire ruoli apicali nell’amministrazione ospedaliera, proprio per i riflessi che ciò può determinare sul livello dei servizi resi dall’amministrazione ospedaliera al cittadino, costituirebbe un principio fondamentale della legislazione statale in materia di «tutela della salute» ai sensi dell’art. 117, terzo comma, Cost.
A questo proposito, dal punto di vista delle fonti risultano interessanti le deduzioni della Regione Marche che preliminarmente osserva che non tutte le norme statali in materia di organizzazione e gestione delle aziende sanitarie assumono per ciò stesso lo status di principi fondamentali (e dunque inderogabili dalla legislazione regionali) e che, comunque, anche nel caso che la norma debba essere considerata alla stregua di un principio fondamentale della materia la normativa regionale ne potrebbe costituire una interpretazione costituzionalmente orientata; e, soprattutto, ancora la regione asserisce che l’invocata normativa statale è entrata in vigore precedentemente alla riforma del 2001, e dunque nella vigenza di un diverso assetto delle competenze Stato/Regioni (questione questa di evidente interesse sebbene del tutto non affrontata, forse volutamente, nelle considerazioni in diritto espletate dalla Corte). Tutto ciò che potrebbe far concludere, a giudizio della difesa regionale, che “la disposizione statale potrebbe essere qualificata come «norma di dettaglio cedevole», ossia come norma immediatamente efficace e auto-applicativa, ma derogabile dall’intervento successivo del legislatore regionale, proprio perché non costituente principio fondamentale della materia”.
Nell’ambito delle proprie valutazioni la Corte, in via generale, conferma che per propria costante giurisprudenza la disciplina degli incarichi di dirigenza sanitaria rientra nella materia “tutela della salute”, in quanto strettamente collegata alla erogazione di servizi pubblici (e sociali) al cittadino pur in un sistema di sanità differenziato, ed anzi forse proprio anche per questo (v. almeno sentenze n. 129 del 2012; n. 181 del 2006; n. 50 del 2007; n. 371 del 2008).
Dunque, rispetto alle altre amministrazioni pubbliche regolate dal d.lgs. 165/2001 (Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze pubbliche), la Corte osserva che una più marcata valenza della disciplina di principio generale statale trova peculiare giustificazione proprio in quanto il sistema sanitario, e segnatamente la relativa dirigenza, “opera nell’ambito, estremamente sensibile, dei diritti sociali costituzionalmente garantiti. A questa è richiesta una particolare competenza, non solo professionale e tecnica, ma anche gestionale”.
Nel quadro di tale disciplina, le disposizioni nazionali prevedono che l’organizzazione dipartimentale costituisce lo schema più diffuso e, dunque, il modello organizzativo ordinario. Cosicché l’intersezione delle competenze in materia è andato evolvendosi affinché “il processo di regionalizzazione e di aziendalizzazione del servizio sanitario avviato dal d.lgs. n. 502 del 1992” provvedesse ad “ovviare alle diffuse inefficienze che si erano registrate nell’organizzazione della sanità, “prevedendo l’innesto di criteri imprenditoriali e di moduli aziendalistici nell’organizzazione del servizio pubblico e disegnando un sistema di tendenziale separazione tra politica e amministrazione”.
Proprio quest’ultimo principio si struttura nella scelta discrezionale e, dunque, politica del Direttore generale che tuttavia deve possedere requisiti professionali specifici ed essere iscritto nell’elenco nazionale che individua i soggetti in possesso di tali caratteristiche.
La stessa nomina politica e discrezionale del Direttore generale incontra, per tale via, il limite della necessaria professionalità del nominato; ossia il novero dei nominabili è “controllato” a livello statale.
Partendo da questa medesima ratio, nel sistema disegnato dalla disciplina nazionale, la nomina comunque politica del Direttore generale contempla un ulteriore correttivo, a cascata, per le nomine dei Direttori di dipartimento che questi deve individuare necessariamente non tra i dirigenti generici ma tra i dirigenti con incarico di direzione delle strutture complesse aggregate nel dipartimento (comma 2 dell’art. 17-bis del d.lgs. n. 502 del 1992):
Dunque, vincoli di competenza e professionalità simili a quelli che concernono la nomina del Direttore generale si riflettono sulle stesse scelte del Direttore generale per i ruoli apicali sottostanti, in modo che nel sistema sia assicurato un adeguato equilibrio tra potere discrezionale di nomina e professionalità della dirigenza sanitaria chiamata a tutelare diritti fondamentali dei cittadini che richiedono un elevato grado di competenze.
A giudizio della Corte che, pertanto annulla la disciplina impugnata, tali requisiti di professionalità costituiscono principio fondamentale per l’individuazione dei ruoli dirigenziali dei dipartimentali sanitari e, dunque, le garanzie sottese alla relativa normativa sono insuscettibili di essere attenuate a livello regionale.