(massima n. 1)
La quota “dell'indennità di fine rapporto” spettante, ai sensi dell'art. 12 bis della L. 1 dicembre 1970, n. 898 (introdotto dall'art. 16 della L. 6 marzo 1987, n. 74), al coniuge titolare dell'assegno divorzile e non passato a nuove nozze ha riguardo a quella parte della retribuzione, destinata al sostegno del nucleo durante la convivenza dei coniugi, percepita in forma differita. Tale previsione, riferita alla retribuzione in senso tecnico, tipica del rapporto di lavoro subordinato, pubblico o privato che sia, non può pertanto essere estesa ad istituti di diversa natura, preminentemente previdenziale ed assicurativa, aventi origine in regimi professionali di natura privata, come l'indennità di cessazione dal servizio corrisposta ai notai, accomunata agli altri trattamenti di fine rapporto solo dalla scadenza al momento della cessazione dell'attività. È pertanto manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 12 bis della L. n. 898 del 1970 al riguardo sollevata in riferimento all'art. 3 Cost., in quanto a situazioni di fatto diverse ben può il legislatore attribuire regimi diversi, ed in riferimento all'art. 38 Cost., il cui ambito attiene ai compiti dello Stato verso i più deboli e non impone oneri ai coniugi in quanto tali; né è configurabile violazione dell'art. 29 Cost., non venendo in rilievo il principio di parità nel matrimonio.