(massima n. 1)
In materia contrattuale il dovere del creditore di cooperare al fine di eliminare o attenuare il danno provocato dall'altrui inadempimento, ai sensi dell'art. 1226, secondo comma, c.c., va coordinato col diritto di autodifesa riconosciuto dall'art. 1460 c.c., per mezzo dell'eccezione inadimplenti non est adimplendum, e poiché l'esercizio di tale facoltà può determinare un aggravamento del danno è ipotizzabile un conflitto fra le norme predette, nel qual caso deve ritenersi prevalente quella di cui all'art. 1460 c.c. Tuttavia tale principio va circoscritto dal limite posto dalla stessa norma, e cioè dalla condizione che il rifiuto della propria prestazione da parte del contraente in bonis non sia contrario alla buona fede. Siffatta contrarietà può ritenersi esistente sia nell'ipotesi di sproporzione fra la prestazione insoddisfatta e quella di cui si chiede l'esecuzione, sia nei casi in cui l'inadempimento si esaurisce in un breve e tollerabile ritardo, ovvero sia giustificato da forza maggiore. Infine possono assumere rilievo, ai fini del giudizio sulla contrarietà alla buona fede, anche i motivi che hanno ispirato in concreto la reazione del contraente in bonis quando essi siano banali, sproporzionati e riprovevoli, così da dar luogo ad atti emulativi.