(massima n. 1)
            Il  deprezzamento  che  abbiano  subito  le  parti residue  del  bene  espropriato  rientra  nell'unica indennità  di  espropriazione,  che,  per  definizione, riguarda  l'intera diminuzione patrimoniale  subita  dal soggetto  passivo  del  provvedimento  ablativo,  ivi compresa la perdita di valore della porzione residua derivata  dalla  parziale  ablazione  del  fondo, sia  essa agricola  o  edificabile,  non  essendo concepibili,  in presenza  di  un'unica  vicenda  espropriativa,  due  distinte somme,  imputate  l'una  a  titolo  di  indennità  di espropriazione e l'altra a titolo di risarcimento del danno per  il  deprezzamento  subito  dai  residui  terreni. Il principio  dell'unicità dell'indennità  deve  trovare applicazione,  anche  nell'ipotesi  di  pregiudizi, sussumibili  nell'ambito  dell'art.  44  T.U.  sulle espropriazioni, in cui la riduzione di valore della parte residua derivi non per effetto della mera separazione (per esproprio)  di  una parte  di  suolo,  ma  in conseguenza  dell'opera  eseguita  su  suolo  non espropriato ed indipendentemente dall'espropriazione stessa (Cass., 17 maggio 2000, n. 6388;  Cass.,  26  maggio  1997,  n.  4657),  e  ciò  non  solo perché  nei  confronti  dell'unico  proprietario  la vicenda opera, comunque, all'interno della categoria dell'espropriazione e nell'ambito di applicazione dell' art. 42  Cost.,  ma  anche  perché,  diversamente  opinando,  si dovrebbe ipotizzare la necessità dell'instaurazione di due distinti giudizi in contrasto con i principi derivanti dall'art. 111  Cost.,  volti  a  favorire,  mediante  la  concentrazione nello stesso processo e dinanzi allo stesso giudice della complessiva  vicenda  sostanziale  ed  esistenziale,  una maggiore economia processuale e la riduzione dei relativi costi (Cass., 15 giugno 2017, n. 1489).