(massima n. 1)
Il fenomeno della cessazione di fatto dell’impresa collettiva, quando rimanga tuttavia in vita la struttura societaria (c.d. società di comodo) rimane privo, nell’attuale sistema normativo (reso conforme ai principi dell’armonizzata disciplina societaria comunitaria), di sanzione e può essere contrastato soltanto attraverso adeguate misure fiscali di penalizzazione. Va, pertanto, in ogni caso negata ai terzi interessati l’azione diretta all’accertamento dell’effettiva cessazione dell’impresa collettiva come pretesa causa di scioglimento della società, quando nulla esclude che l’attività conforme all’oggetto sociale possa riprendere pur dopo un periodo, benché assai protratto, di quiescenza. (L’intero pacchetto azionario di una società, rappresentativo del patrimonio sociale costituito esclusivamente da due immobili locati, veniva interamente ceduto. La S.C., sulla base dell’enunciato principio, ha respinto la tesi del conduttore di quegli immobili, il quale sosteneva che la cessione doveva essere considerata alla stregua di una vendita di immobili, sicché a lui competeva la prelazione urbana prevista dalla legge n. 392 del 1978).