(massima n. 1)
Il profitto dei delitti di furto o di rapina è costituito dal bene oggetto di sottrazione — al momento del cui impossessamento il reato si perfeziona — e non dalla diversa utilità da esso ricavabile mediante un'attività successiva, che non può dunque considerarsi assorbita nella condotta precedente. Ne consegue che quando tale attività consiste nella richiesta di un compenso a chi possedeva, accompagnata dalla prospettazione della mancata restituzione del bene sottratto, essa non può che considerarsi tesa a coartare l'altrui volontà a scopo di profitto: colui che sia stato privato illecitamente di un bene, infatti, conserva il diritto alla restituzione, oltre che l'aspettativa morale di riacquistarlo, sicché la richiesta di denaro in cambio dell'adempimento dell'obbligo giuridico di restituire, che incombe sull'agente, influisce sulla libertà di determinazione del soggetto passivo ed integra, di per sè, minaccia rilevante ai sensi dell'art. 629 c.p.