(massima n. 1)
Nell'offesa arrecata con un unico atto ad un corpo amministrativo o politico e ai singoli membri del medesimo ricorre l'ipotesi del concorso formale, per cui in tal caso il soggetto agente deve rispondere sia del reato previsto dall'art. 341 sia di quello di cui all'art. 342 c.p. L'unica condotta criminosa ha carattere plurioffensivo, ledendo sia il bene giuridico della pubblica amministrazione sia l'onere o il prestigio personale del pubblico ufficiale, per cui l'indagine in ordine all'elemento soggettivo si risolve nell'accertamento della consapevolezza, nell'agente, della potenzialità oltraggiosa della frase pronunciata e della volontà di rivolgerla al soggetto passivo del reato. Ne consegue che, qualora il fraseggio oltraggioso, potenzialmente lesivo del corpo politico, amministrativo o giudiziario, sia inidoneo a concretare l'ipotesi delittuosa di cui all'art. 342 c.p., perché non pronunciato al cospetto dell'organo medesimo, ma alla presenza di taluno soltanto dei suoi componenti, residuerà il solo delitto dell'art. 341 c.p., ad escludere il quale nell'accertamento — della consapevolezza dell'agente che le parole oltraggiose risultano oggettivamente pronunciate in presenza del pubblico ufficiale e in un contesto che necessariamente lo coinvolge — non è lecito addurre la sussistenza della sola intenzione di offendere il corpo nel suo complesso e non anche il singolo suo componente, giacché il vilipendio dell'ente collegiale necessariamente comprende, senza assorbirlo, l'offesa del soggetto che di esso è parte costitutiva.