(massima n. 1)
Sussiste ipotesi di concorso formale, ex art. 81, comma 1, c.p., fra il reato di resistenza a P.U., di cui all'art. 337 c.p. ed il reato di tentato omicidio, stante la diversità dei beni giuridici tutelati da tali norme, e le differenze qualitative e quantitative della esercitata violenza contro il pubblico ufficiale; pertanto non può ritenersi operante alcuna preclusione processuale a giudicare separatamente, in distinti processi, le plurime violazioni di legge ancorché riferite ad una condotta unitaria. Il delitto di resistenza a pubblico ufficiale assorbe, infatti, soltanto quel minimo di violenza, al limite delle percosse e non già quegli atti che esorbitando tale limite, e pur finalizzati alla resistenza, attentino alla vita od alla incolumità del pubblico ufficiale. Ne consegue che, accertata la sussistenza di una condotta criminosa che, benché unitaria, abbia leso beni aventi distinta oggettività giuridica, deve ritenersi sussistere un concorso formale eterogeneo di reati. Ne consegue altresì che non vi è alcuna preclusione processuale, derivante dal principio del ne bis in idem, quando vi sia stato un processo, e si sia formato il giudicato, solo in relazione ad un reato compatibile con altro reato non giudicato, non essendovi la medesimezza del fatto, richiesta dall'art. 649 c.p.p., perché vi sia divieto di un secondo giudizio.