(massima n. 2)
In tema di prova, ai fini di una corretta valutazione della chiamata in correità a mente del disposto dell'art. 192, comma terzo, c.p.p., il giudice deve in primo luogo sciogliere il problema della credibilità del dichiarante (confidente e accusatore) in relazione, tra l'altro, alla sua personalità, alle sue condizioni socio-economiche e familiari, al suo passato, ai rapporti con i chiamati in correità ed alla genesi remota e prossima della sua risoluzione alla confessione ed alla accusa dei coautori e complici; in secondo luogo deve verificare l'intrinseca consistenza, e le caratteristiche delle dichiarazioni del chiamante, alla luce di criteri quali, tra gli altri, quelli della precisione, della coerenza, della costanza, della spontaneità; infine egli deve esaminare i riscontri cosiddetti esterni. L'esame del giudice deve essere compiuto seguendo l'indicato ordine logico perché non si può procedere ad una valutazione unitaria della chiamata in correità e degli «altri elementi di prova che ne confermano l'attendibilità» se prima non si chiariscono gli eventuali dubbi che si addensino sulla chiamata in sé, indipendentemente dagli elementi di verifica esterni ad essa.