(massima n. 2)
Il delitto di violenza privata tende a garantire non la libertà fisica o di movimento, bensì la libertà psichica dell'individuo e perciò si realizza quando l'agente, col suo comportamento violento o intimidatorio, eserciti una coartazione, diretta o indiretta, sulla libertà di volere o di agire del soggetto passivo, così da costringerlo a una certa azione, tolleranza od omissione. Presupposto essenziale del delitto è dunque la preesistenza di una libertà di determinazione e di azione di chi subisce la condotta criminosa e il reato deve ritenersi consumato nel momento in cui il soggetto passivo, a seguito della violenza o della minaccia, sia rimasto costretto contro la sua volontà a fare, tollerare o omettere qualche cosa, mentre si ha soltanto tentativo, sempre che ne ricorrano tutti gli altri requisiti, allorché non sia stato raggiunto l'effetto voluto. Questo effetto è quello che l'agente si propone di realizzare e si identifica pertanto anche nella prospettiva psicologica, con lo scopo di costringere altri a tenere un determinato comportamento, senza che abbiano rilievo rispetto a quello immediatamente perseguito, fini ulteriori o mediati e tanto meno i particolari motivi dell'azione.