(massima n. 1)
L'art. 1373 c.c. — il quale, nel disciplinare l'istituto del recesso unilaterale (diverso da quello per inadempimento previsto dall'art. 1385 c.c.), stabilisce che la parte cui è attribuita pattiziamente detta facoltà può esercitarla finché il contratto non abbia avuto un principio di esecuzione — non prescinde, in virtù sia del suo testo letterale, sia della sua ratio (ravvisabile nell'incompatibilità concettuale tra proposito di sciogliere unilateralmente il rapporto e consenso precedentemente manifestato a darvi attuazione, sia pure parziale), da una connotazione volontaristica del «principio di esecuzione», nel senso che questo, per poter precludere il recesso, o deve essere stato posto in essere dallo stesso recedente o, se posto in essere da altro contraente, non deve aver trovato opposizione e rifiuto da parte del primo. Ne consegue che la domanda di esecuzione specifica dell'obbligo di concludere un contratto, di cui all'art. 2932 c.c., non può — sempre che l'altra parte non vi abbia aderito o non abbia accettato l'eventuale contemporanea offerta della controprestazione — in alcun modo considerarsi di per sé principio di esecuzione del contratto preliminare ai sensi ed agli effetti dell'art. 1373 c.c. e che il convenuto, a cui favore sia stato attribuito il diritto di recesso, deve ritenersi legittimato a farlo valere in via di azione o di eccezione riconvenzionale ed a paralizzare cosa la pretesa avversaria di sentenza costitutiva ai sensi dell'art. 2932 c.c.