(massima n. 1)
La morte della parte contumace, ai sensi dell'art. 300, quarto comma, c.p.c., nella formulazione - applicabile, nella specie, "ratione temporis" - antecedente alle modifiche introdotte dall'art. 46, tredicesimo comma, della legge 18 giugno 2009, n. 69 (con le quali è stata espressamente attribuita rilevanza, ai fini interruttivi, anche all'attività di documentazione proveniente dalle altri parti del giudizio), comporta l'interruzione del processo solo se notificata o certificata dall'ufficiale giudiziario nella relazione di notificazione di uno dei provvedimenti di cui all'art. 292 c.p.c., senza che tali forme tassative ammettano equipollenti, apparendo, altresì, manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale di detta norma in riferimento all'art. 3 Cost., nella parte in cui non prevede l'interruzione del processo come effetto della conoscenza dell'evento comunque acquisita, alla luce delle profonde differenze esistenti tra la fattispecie in esame e quella della scomparsa del convenuto nel corso del processo. Ne consegue che non può attribuirsi efficacia interruttiva alla produzione del certificato di morte del contumace effettuata dal procuratore della controparte costituita.