(massima n. 1)
L'oggetto del contratto d'opera professionale per la progettazione di una costruzione in contrasto con la normativa urbanistica non è giuridicamente impossibile né contrario a norme imperative o di ordine pubblico dovendosi escludere la presenza, nell'ordinamento vigente, di norme o principi di ordine pubblico desumibili dal sistema delle norme imperative che vietino la predetta progettazione o, comunque, influiscano sulla sua giuridica possibilità: infatti, da un lato, l'art. 20 della L. 28 febbraio 1985, n. 47 considera solo le attività di costruzione e lottizzazione dei soggetti (titolare della concessione, committente, costruttore e direttore dei lavori) che in vario modo partecipino all'esecuzione dell'attività illecita, tra i quali non vi è il progettista che non abbia assunto anche la direzione dei lavori, mentre l'art. 27 comma 7 della legge urbanistica (L. 17 agosto 1942, n. 1150) configura una responsabilità amministrativa del progettista solo per le spese relative alla demolizione o riduzione in pristino delle opere in ordine alle quali sia stato disposto l'annullamento della concessione edilizia e, d'altro lato, la ratio che informa la previsione degli illeciti urbanistici e delle varie sanzioni che ne conseguono deve essere ravvisata nel divieto di incidere, in difformità delle prescrizioni ed al di fuori dei controlli fissati dalle norme giuridiche, sul territorio, sia fisicamente, mediante l'attività di costruzione in senso stretto e con opere di carattere urbanistico, sia con atti negoziali che comportino una destinazione edilizia, e non anche quella di precludere le attività concettuali, come la progettazione, che, di per sé inidonee a produrre un mutamento fisico o giuridico del territorio, possono eventualmente, ma non necessariamente, avere una funzione preparatoria alla realizzazione dell'illecito edile e rimangono, quindi, possibili anche quando, per la presenza di norme che ne vietino l'attività di realizzazione, risultino, poi, concretamente inutilizzabili.