(massima n. 1)
L'ordinanza che dispone la sospensione del processo, ai sensi dell'art. 295, c.p.c., non è impugnabile in Cassazione nè ai sensi dell'art. 360, c.p.c., nè dell'art. 111, Cost., ma, dopo l'entrata in vigore della legge n. 353 del 1990, può essere impugnata esclusivamente con ricorso per regolamento necessario di competenza ai sensi dell'art. 42, c.p.c., il quale deve essere notificato alle controparti nel termine perentorio di trenta giorni (art. 47, c.p.c.), essendo tuttavia ammissibile la conversione nel ricorso ai sensi dell'art. 42, c.p.c., del ricorso ordinario o ex art. 111, Cost., se questo abbia i requisiti di sostanza – tra cui il rispetto del predetto termine – e forma previsti dall'art. 47, cit.; nel caso in cui sia ammissibile detta conversione, il ricorso può essere deciso all'esito della sua trattazione in udienza pubblica, non occorrendo disporne la trattazione in camera di consiglio, sia perché il codice di rito non prevede il caso della trasformazione del rito ordinario nel rito camerale (art. 375, c.p.c.), sia perché regola generale è quella della trattazione dei ricorsi in pubblica udienza, che assicura la realizzazione dei principi di oralità ed immediatezza, nonché del diritto di difesa e del principio fondamentale recato dall'art. 6, C. 1, Convenzione europea dei diritti dell'uomo, in tema di pubblicità del processo, senza affatto incidere sui poteri del Procuratore generale presso la Corte di cassazione.