(massima n. 1)
L'art. 75 del c.p.p. del 1988 regola il rapporto tra azione civile e azione penale in modo diverso dal testo dell'art. 24 del codice previgente, richiedendo, quale presupposto della sospensione necessaria del processo civile, la possibilità della translatio iudicii, ossia la proponibilità della domanda civile in sede penale, ciò che, a sua volta, presuppone la identità della materia e la partecipazione al processo penale di tutte le parti del giudizio civile. In particolare, al terzo comma del citato art. 75 c.p.p. prevede che, se l'azione è proposta in sede civile nei confronti dell'imputato dopo la costituzione di parte civile nel processo penale, il processo civile è sospeso, mentre, in caso contrario, lo stesso prosegue. (Nella specie, alla stregua dell'enunciato principio, la S.C. ha annullato l'ordinanza del tribunale che aveva disposto la sospensione, ex art. 295 c.p.c., del processo civile pendente davanti a sé tra il fallimento di una società per azioni ed i consiglieri delegati della stessa per azione di responsabilità ex art. 146 l. fall., fino alla definizione del giudizio penale a carico di uno di essi per distrazione, occultamento e dissimulazione di beni, merci e ricavi aziendali in epoca prossima al fallimento, processo nel quale il fallimento non si era costituito parte civile).