(massima n. 1)
In tema di esecuzione immobiliare l'art. 586 c.p.c., prevedente, nel testo modificato dall'art. 19 bis legge n. 203 del 1991, che il giudice dell'esecuzione può sospendere la vendita del bene espropriato quando ritiene che il prezzo offerto sia notevolmente inferiore a quello giusto, non compromette il principio di imparzialità per il fatto che il giudice che ha fissato il prezzo di vendita è lo stesso che poi provvede alla sospensione sulla base di un giudizio di congruità del prezzo offerto, giacché l'imparzialità del giudice viene compromessa solo quando questi, nel decidere, debba ripercorrere un itinerario logico identico a quello precedentemente seguito, cosa che non accade nell'ipotesi in esame, in quanto il prezzo nel provvedimento che dispone la vendita è fissato a norma dell'art. 568 c.p.c., con un'attività di mero impulso delle operazioni di vendita, cui è estranea la risoluzione di un contenzioso o di un contrasto sulle indicazioni del creditore procedente, mentre soltanto quando decide sull'istanza di sospensione ai sensi dell'art. 586 cit. il giudice compie una vera e propria valutazione, secondo percorsi logici diversi, onde è da escludersi ogni sovrapposizione di attività; ne consegue che non sussiste alcun contrasto tra la disciplina di cui all'art. 586 c.p.c. e l'art. 6 della Convenzione di salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali di cui alla legge n. 848 del 1955 e che deve ritenersi manifestamente infondata la questione di illegittimità costituzionale del citato art. 586 in rapporto agli artt. 3, 24 e 113 Cost.