(massima n. 1)
In tema di interpretazione di una clausola compromissoria, il carattere rituale ovvero irrituale dell'arbitrato in essa previsto va desunto con riguardo alla volontà delle parti ricostruita secondo le ordinarie regole di ermeneutica contrattuale, ricorrendo la fattispecie dell'arbitrato rituale quando sia stata demandata agli arbitri una funzione sostitutiva di quella del giudice, integrandosi, per converso, l'ipotesi dell'arbitrato libero quando il collegio arbitrale sia stato investito della soluzione di determinate controversie in via negoziale, mediante un negozio di accertamento ovvero strumenti conciliativi o transattivi. Tale attività ermeneutica circa la natura dell'arbitrato presuppone, in sede di legittimità, l'esame e la valutazione diretta del patto compromissorio da parte della Corte, che non può limitarsi al mero controllo formale della decisione del giudice di merito, incidendo la soluzione della questione dedotta sul problema processuale dell'ammissibilità stessa dell'impugnazione del lodo per nullità dinanzi al giudice di appello, ovvero della sua eventuale impugnabilità dinanzi al tribunale per vizi negoziali. Il permanere del dubbio interpretativo circa la effettiva volontà dei contraenti impone, come corretta opzione interpretativa, la dichiarazione della irritualità dell'arbitrato, tenuto conto del carattere del tutto eccezionale dell'arbitrato rituale, introduttivo, pur sempre, di una deroga alla competenza del giudice ordinario.