(massima n. 1)
Nel rito del lavoro, che prevede la lettura del dispositivo nella stessa udienza di discussione della causa, il dispositivo medesimo non può considerarsi come atto meramente interno, modificabile fino al momento in cui la sentenza venga pubblicata mediante deposito in cancelleria, bensì costituisce un atto di rilevanza esterna, atteso che la sua lettura porta ad immediata conoscenza delle parti del contenuto della decisione e che le parti stesse possono avvalersi del dispositivo per intraprendere l'azione esecutiva ancor prima del deposito della decisione; ne consegue che il giudice che ritenga errata la decisione espressa nel dispositivo, non può porvi rimedio adottando una motivazione contraria, ancorché con l'indicazione delle ragioni che lo hanno indotto, sia pure per mero errore, a leggere un dispositivo diverso da quello deliberato, atteso che la contraddittorietà nel senso precisato comporta l'annullamento della sentenza anche in sede di legittimità; per le medesime ragioni, nel rito del lavoro, ove sussista tale contrasto, non trova applicazione il principio di integrazione del dispositivo con la motivazione, né tanto meno, il procedimento di correzione di cui all'art. 287 c.p.c.